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Encyclopédie internationale
des histoires de l’anthropologie

Samuel Augustini ab Hortis e la nascita della ziganologia nel Settecento

Leonardo Piasere

Chercheur indépendant

2023
Pour citer cet article

Piasere, Leonardo, 2023. “Samuel Augustini ab Hortis e la nascita della ziganologia nel Settecento”, in Bérose - Encyclopédie internationale des histoires de l'anthropologie, Paris.

URL Bérose : article2881.html

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Résumé : L’article analyse le changement que Samuel Augustini ab Hortis (1729-1792) a introduit dans les études tsiganes au regard de la littérature antérieure. Mieux connu pour ses recherches minéralogiques et redécouvert il y a seulement quelques décennies en tant que chercheur sur les Zigeuner, il est considéré comme le fondateur des études modernes sur les Roms. Originaire de la région de Spiš (aujourd’hui en Slovaquie), où il a passé sa vie comme pasteur luthérien, il était étroitement lié aux cercles des Lumières de la Hongrie des Habsbourg, qui étaient proches de la politique de l’impératrice Marie-Thérèse, mais aussi sensibles aux percées « ethnologiques » d’Ádám Ferenc Kollár. Sa monographie sur les « Tsiganes [sic] de Hongrie », parue presque anonymement en feuilleton en 1775-1776, dans un hebdomadaire viennois puis « absorbée » par Heinrich Grellmann de manière altérée dans un livre publié en 1783 (qui devint un best-seller européen) fut rapidement oubliée. La structure de la monographie d’Augustini ab Hortis et les données ethnographiques novatrices qu’elle contient ont influencé les études ultérieures sur les Roms tout au long du XIXe siècle et pendant une bonne partie du XXe. Cette littérature ultérieure n’a cependant pas réussi à développer l’approche comparative et déconstructive que la monographie originale avait déjà suggérée, et qui a caractérisé les études tziganes au sein de l’anthropologie sociale des dernières décennies.

Premessa : Gypsyology, Tsiganologie e altro

Secondo Wikidshakespeare.pbwork, la prima occorrenza del termine gypsyologist si incontra nella Chambers’s Encyclopaedia del 1863 [1]. Alla voce “Gypsies (Egyptians)” (p. 170-173), infatti, dopo aver dato la priorità della scoperta della loro origine indiana a Johann Rüdiger e dopo una lista di studiosi dei primi dell’Ottocento che hanno seguito la sua scia, si legge : “The facile princeps of all Gypsologists [sic] is professor Pott of Halle, whose Zigeunersprache (1844-1845) [2] is the most wonderfully thorough and exhaustive book ever written on this subject of gypsies and their language” (vol. V : 172). Scritto con una “i” o con due, con la “i” o con la “y” in varie combinazioni, con la “g” maiuscola o minuscola (gipsiologists, Gypsyologists, gipsyologists), lo troviamo in parecchi autori successivi, anche diversi da quelli citati in Wikidshakespeare.pbwork. A mia conoscenza, dobbiamo invece aspettare il 1892 per trovare Gypsyology, quando Charles Godfrey Leland, primo presidente della Gypsy Lore Society (fondata nel 1888), parla di “that important branch or ally of ethnology, folklore, and philology, which, for want of a better term, I may call Gypsyology” (Leland 1892 : 194). Facendo il riassunto del lavoro fino allora fatto, spiega che spettava a David MacRitchie, uno dei fondatori della Society, l’osservazione che, se “Gypsy” derivava da “Egyptian”, allora doveva essere scritto con la “y” e non “Gipsy”, come usualmente si scriveva. E testimonia che Richard Francis Burton, il famoso orientalista e viaggiatore, aveva accettato di farne parte a patto che nel nome della Society comparisse “Gypsy” e non “Gipsy” [3].

Sempre a mia conoscenza, di qualche anno dopo sono le prime testimonianze dei termini corrispondenti francesi. In Francia non avevano il problema della “i” o della “y”, ma quello della trascrizione dell’affricata dentale sorda, se con “ts” o con “tz”. Sotto l’influsso delle ungheresi orchestrine cigány che in quei decenni giravano per la Francia, il termine tzigane o tsigane stava cominciando a soppiantare nel francese colto i termini più popolari di bohémien o gitan (Vaux de Foletier 1981 : 19 ), ed è da quel nuovo termine che Paul Bataillard (1816-1894) conia tsiganologue, la cui prima occorrenza compare in corsivo con lo scopo, si può ritenere, che volesse denotare un neologismo (“Mais il est bon quel les tsiganologues sachent…” ; 1871 : 278). Trovo la prima testimonianza di tsiganologie in una recensione di Henri Gaidoz (1873 : 1039) all’estratto di quello stesso studio di Bataillard (“Les lecteurs peu versés en tsiganologie…”), e Bataillard resterà per decenni “the tsiganologue” per antonomasia anche per gli autori inglesi [4]. Diffusosi poi dal francese in italiano (ziganologia), in tedesco (Tsiganologie) e in altre lingue, la tsiganologie sarà in competizione con la gypsyology, mentre in ambiente ispanofono è gitanología a prevalere [5].

Ora, è da notare che questi termini in realtà non furono mai molto usati nell’Ottocento e nel Novecento, e ancora oggi compaiono spesso tra virgolette, quasi a indicarne la bizzarria. Nelle varie lingue furono più usate espressioni alternative come études tsiganes, studi zingari Zigeunerforschungen, Zigeunerkunde, Gypsy studies, Gypsy Lore, ecc. Forse solo in Germania è nato un progetto accademico espressamente chiamato di Tsiganologie, all’Università di Giessen a partire dagli anni Ottanta del Novecento e protrattosi con alterne vicende fino ai primi anni Duemila. L’ironia è che i termini tsiganologie, Gypsyology, ecc. sono forse più usati dai critici della ziganologia che dagli autori che avrebbero impersonato, o impersonerebbero, la ziganologia. In ambito francese, ad esempio, si è sempre di gran lunga preferito la dizione études tsiganes a tsiganologie. La -logia, con la sua connotazione scientista, non sempre è stata amata. Con le svolte critiche dei Cultural Studies, dei Postcolonial Studies, degli studi sull’Orientalismo degli ultimissimi decenni, e in seguito all’emersione di studiosi rom e sinti e la critica all’impiego dei termini Gypsies, tsiganes, Zigeuner, ecc. in quanto ritenuti offensivi, ne sono di conseguenza derivate le critiche anche all’uso dei termini che da quelli derivavano. Già nella seconda metà del Novecento ci fu chi proponeva la sostituzione con Romology, Romistic, Romanology o, in ambito anglofono, Romani Studies, espressione che oggi si è internazionalizzata dopo che il nome della rivista omonima ha sostituito quello di Journal of the Gypsy Lore Society. Per tanti autori, nei nuovi Romologia/Romani Studies, la ziganologia rappresenta tutto quello che è da evitare, da condannare, da criticare nello studio della storia, della lingua, della cultura di Rom, Sinti, Calos, Romaničel ecc., come pure tutto quello che è politicamente scorretto, a partire dal nome, appunto. In termini storiografici, possiamo dire che, se la ziganologia ha fatto emergere l’interesse che un certo numero di studiosi rivolgeva in modo non occasionale verso le persone etichettate come “zingari” nella propria cosmologia e le ha costruite come campo di studi accumulando comunque una mole cospicua di conoscenze, la romologia ha ad un certo punto cercato di ribaltare la prospettiva e, cercando di partire dalle cosmologie di rom, sinti, ecc., e dagli stessi rapporti vigenti tra rom, sinti, ecc. e le società maggioritarie, cerca di svilupparne la conoscenza ampliando il grado di riflessività. I rom, sinti, ecc. vogliono sempre più gestire le rappresentazioni che li riguardano. Porre un confine ermeneutico netto tra ziganologia e romologia è comunque arduo, e la differenza è forse più di prospettiva : oggi la romologia vede con più facilità quali ideologie e rappresentazioni hanno impregnato nei decenni la vecchia ziganologia [6]. Che la romologia nasca dalla ziganologia è comunque fuori discussione e che la ziganologia a suo modo esistesse prima che qualcuno ne coniasse il nome, lo si dà di solito per scontato senza ulteriore riflessione.

Infatti, l’opera che “fonda” la ziganologia è considerata da tempo un libro di Heinrich Moritz Gottlieb Grellmann (1756-1804), la cui prima edizione intitolata Die Zigeuner esce nel 1783 e la seconda ampliata, Historischer Versuch über die Zigeuner, nel 1787, ossia più di settan’anni prima della comparsa del nome. È in effetti il primo libro che offre un quadro articolato sugli zingari. Esso è presto tradotto in inglese (1787, 1807), francese (1788, 1810) e olandese (1791), e fu ripreso, citato e plagiato in tutta Europa (in Italia in modo particolare da Predari nel 1841) [7]. A Grellmann interessava soprattutto provare che gli zingari provenivano dall’India : da questo dipenderà il suo determinismo linguistico e per questo diventerà famoso. Nella Prefazione (1783 : V) riconosceva il suo debito verso un suo professore di Gottinga, il linguista Christian Wilhelm Büttner, che gli aveva già suggerito la possibilità di questo collegamento e gli aveva fornito una lista di lessemi in romanes. In effetti in una sua opera Büttner (1771 : 4) aveva definito gli zingari “ein Indostanisch-Afganischer Stamm” (una tribù indostano-afgana) [8]. Grellmann aveva pure citato Rüdiger senza prenderlo in considerazione, ma oggi Johann Christian Christoph Rüdiger (1751-1822) è considerato essere il primo ad aver provato la parentela linguistica tra la lingua romanì e le lingue neo-sanscrite dell’India (Rüdiger 1782 : 37-84 ; Matras 1999), in anni in cui altri l’avevano supposto [9] e giusto nel periodo in cui Gaston-Laurent Coeurdoux e William Jones portavano, tra il 1767 e il 1786, alla scoperta della parentela del sanscrito con le lingue europee [10]. Possiamo aggiungere, per concludere un discorso che qui ci interessa poco, che comunque già nel Cinquecento e nel Seicento ci furono autori che proposero una provenienza indiana degli zingari, e più precisamente dall’isola di Ceylon (v. Bakker 2017 ; Campigotto et al. 2020 : 142-143).

La fortuna che ebbe il libro di Grellmann ha contribuito a nascondere molto altro, e cioè che egli rubò ad altri sia buona parte del dizionario che pubblicava (Matras 1999), sia i dati etnografici che presentava. Come per primo ha dimostrato Martin Ruch (1986) e come ha anche insistito Urbancová (1994), l’impianto del libro di Grellmann ricalca in gran parte il testo che qui ci interessa di Samuel Augustini ab Hortis. Per i motivi che vedremo, tale studio è stato considerato anonimo fino ad una trentina d’anni fa e non si sa se Grellmann non conoscesse l’identità dell’autore : egli cita il lavoro col titolo del settimanale in cui compariva, spesso abbreviandolo in Wiener Anzeigen, un nome che è rimasto nella letteratura ziganologica. Comunque, pur citato, il saggio “viennese” viene ampiamente saccheggiato e plagiato da Grellmann. Pare che l’identità dell’autore sia stata scoperta poco più di una ventina di anni fa in modo indipendente da un’etnologa slovacca, Viera Urbancová (1994), e da uno storico olandese, Wim Willems (1997 : 63) [11]. A differenza di Willems (1997 : 64), che centra tutta l’attenzione sul testo di Grellmann la cui narrativa è diventata nei secoli egemonica, concordo con Ruch (1986 : 104-112), che pure reputava anonimo il testo, quando sottolinea che spesso Grellmann ha erroneamente generalizzato situazioni copiate da ab Hortis che costui voleva riferire solo ai contesti locali di cui parlava. Mi pare che il confronto tra ab Hortis e Grellmann soffra nella letteratura dell’ombra che il secondo getta a ritroso dall’alto della sua fama. Io qui non proseguirò su questo confronto e, dando per acquisito l’enorme debito di Grellmann verso ab Hortis e le distorsioni che vi aggiunge, mi voglio concentrare invece sul confronto tra la monografia di costui e la letteratura sugli zingari che l’ha preceduta perché, se pure ci sono delle evidenti continuità, solo i cambiamenti che egli ha introdotto possono spiegare le caratteristiche delle moderne ziganologia/romologia/romani studies.

Un pastore luterano naturalista

Samuel Augustini ab Hortis (1729-1792) visse nell’Alta Ungheria, il nord del Regno d’Ungheria asburgico, nell’odierna Slovacchia settentrionale. Era un ambiente culturale in cui il multilinguismo era corrente e istituzionalizzato, in cui le località potevano avere quattro nomi uno tedesco (lingua para-ufficiale dei domini asburgici e lingua quotidiana delle minoranze tedescofone), uno ungherese (lingua della maggioranza egemone nel Regno), uno slovacco (lingua parlata dalla maggioranza della popolazione) e uno latino (lingua ufficiale degli atti dello stato, della burocrazia, della Chiesa cattolica, delle università). A questi poteva aggiungersi quello polacco. Ciò era particolarmente vero per il Comitato dello Spiš/Zips/Szepes/Scepus [12] (nelle diciture ufficiali del tempo : Komitat Zips/Szepes vármegye/Comitatus scepusensis), dove era nato e visse, ai piedi degli Alti Tatra, una regione che aveva conosciuto una colonizzazione tedesca fin dal XII secolo e dove si parlò un dialetto tedesco fino a metà Novecento. La regione rimase politicamente frammentata per più di tre secoli, dopo che nel 1412 tredici città situate nei pressi del confine erano state date in pegno alla Polonia e andarono a formare cinque exclave polacche circondate dal territorio ungherese. Mai riconsegnati, questi piccoli territori furono rioccupati tra il 1769 e il 1770 dagli Asburgo e ufficialmente reincorporati nel Regno d’Ungheria in occasione della cosiddetta “prima spartizione della Polonia” nel 1772. Mantennero un’autonomia amministrativa riuniti nella “Provincia delle tredici città”, poi divenuta “Provincia delle sedici città” (Krempaská e Števík 2018).

Samuel era nato a Veľká Lomnica/Großlomnitz/Kakaslomnic, un villaggio vicino alle exclave polacche ma in territorio ungherese, in una famiglia di tradizioni luterane (anche il padre, che portava lo stesso nome Samuel, era pastore) e di studiosi di scienze naturali [13]. La famiglia Augustini (o Augustin) era proveniente dalla Slesia e il bisnonno di Samuel, Christian (1598-1650), era stato medico personale dell’Imperatore Ferdinando II d’Asburgo, per il quale aveva anche costruito un orto botanico. Per questo l’Imperatore l’aveva nobilitato aggiungendo ’ab Hortis’ al nome di famiglia originario (Melzer s.d. [1832] : 22). Oltre che nel villaggio di nascita e a Poprad/Deutschendorf/Poprád (dove il padre era pastore), la formazione di Samuel Augustini ab Hortis avviene a Kunova Teplica/Kun-Taplotz (Teplitz)/Kuntapolca, dove viene mandato a imparare l’ungherese. Vengono poi gli studi in diritto, scienze e teologia sempre nell’Ungheria del tempo (a Levoča/Leutschau/Lőcse e Prešov/Preschau/Eperjes) e poi nelle università tedesche di Wittenberg e Greifswald. Torna in Ungheria nel 1757 e dal 1758 insegna al liceo luterano di Kežmarok/Käsmarkt/Késmárk di cui è anche vice-direttore ; dal 1761 e fino alla morte svolge il servizio di pastore nella cittadina di Spišská Sobota/Georgenberg/Szepesszombatban, allora città autonoma rispetto a Poprad/Deutschendorf/Poprád, di cui oggi costituisce un quartiere. Al momento della sua nomina, la cittadina era ancora una delle exclave polacche e quando tornerà sotto il Regno d’Ungheria nel 1769/1772 egli vi era pastore da una decina d’anni. La chiesa evangelica che oggi si vede incastonata nella cerchia delle case in fondo alla piazza principale, quasi in antitesi con l’imponente chiesa cattolica di San Giorgio dall’altra parte della piazza, fu costruita qualche anno dopo, nel 1777, a ridosso degli anni che ci interessano.

Autore di due dissertazioni presso l’università di Greifswald, una in matematica discussa assieme a Lambert Heinrich Röhl, che diventerà un noto astronomo (v. Röhl e Abhortis 1755) [14], e una in teologia (v. Abhortis 1756), per tutta la sua vita unì gli impegni di insegnante e di pastore alla passione per le scienze naturali. Continuatore della scienza del bisnonno, nel 1777, a quarantotto anni, sostenne a Vienna una dissertazione di botanica (v. Augustin 1777), che un autore italiano definirà “Libro elementare, comodo ed utile ai principianti, perché contiene tutto l’essenziale della filosofia botanica di Linneo” (Sangiorgio 1810 : 1266). Il bisnonno, Christian Augustini (1598-1650), è ricordato, se non proprio come lo scopritore, come il primo studioso del pino cembro e del pino mugo e dei rimedi che si possono trarre da tali piante. Una sua opera rimasta manoscritta, De balsamo hungarico, è oggi perduta, ma molte informazioni sono state tramandate dal più famoso naturalista Jónás András Czirbesz (1732-1813), coetaneo e conterraneo di Samuel, pure pastore luterano e suo stretto conoscente [15]. La mineralogia è la passione di Samuel, a cui si era interessato anche il bisnonno. I biografi lo dicono possessore di una ricca raccolta di minerali, riuniti in seguito alle sue escursioni sui monti Tatra. Egli pubblica tra il 1773 e il 1782 diversi studi sulla geologia e la topografia della sua regione, di cui lo stesso Czirbesz si gioverà nelle sue opere, mentre non sappiamo quanto Samuel e Czirbesz abbiano attinto dai manoscritti perduti di Christian Augustini.

All’ombra di Kollár

Ma è il testo che qui ci interessa che lo sta rendendo famoso ai nostri tempi. Dal 1771 al 1776 esce a Vienna un settimanale in lingua tedesca intitolato Allergnädigst-privilegirte Anzeigen aus sämmtlich- kaiserlich- königlichen Erbländern, herausgegeben von einer Gesellschaft e spesso indicato semplicemente come Anzeigen (o Wiener Anzeigen da Grellmann in poi). È diretto dal giurista Daniel Terstyanszky (1730-1799), altro compaesano di ab Hortis (era nato a Krompachy/Krompach/Korompa, nello Spiš) e come lui appartenente alla chiesa luterana. Dal 1770 è amico e stretto collaboratore dello storico, consigliere di stato e direttore della biblioteca imperiale Ádám Ferenc Kollár (1718–1783), pure originario dell’Alta Ungheria. Terstyanszky ha spesso portato avanti in prima persona idee e iniziative di Kollár, dopo che un libro di costui era stato pubblicamente bruciato e messo all’indice per aver sostenuto il primato del re d’Ungheria sul clero e la nobiltà, per aver criticato i privilegi di cui questa godeva e la condizione in cui erano tenuti i servi. Kollár, ex gesuita, fu un sostenitore dell’assolutismo illuminato di Maria Teresa (che lo protesse) e del suo modello di monarchia centralizzata, ma al contempo è ricordato come un proto-nazionalista slovacco, attento alle diversità linguistiche e storiche del Regno d’Ungheria. Secondo Katalin Kaproncsay (2008), è indubbio che anche dietro il piano di pubblicazione delle Anzeigen ci fosse Kollár, la cui linea editoriale rifletteva molto bene il suo spirito illuminista filo-teresiano. Come spiega la studiosa ungherese, il settimanale fece parte di una serie di tentativi di costituire una società tesa alla divulgazione e all’educazione scientifica fornendo soprattutto notizie sull’Ungheria e i suoi Comitati per i lettori di lingua tedesca dell’Impero asburgico (v. anche Szelestei 1983). Pur scritto in tedesco e stampato a Vienna, il giornale riceveva contributi da una rete di corrispondenti che vivevano in diverse località del Regno, di cui un certo numero nello Spiš, appunto. Questa struttura era in linea con l’idea di Kollár che le informazioni fossero fornite, più che da viaggiatori, da chi in una data regione viveva e aveva una conoscenza diretta dei suoi abitanti e della sua storia.

Assieme alla Presburgische Zeitung che usciva a Bratislava/Pressburg/Pozsony, le Anzeigen costituirono in quegli anni il giornale ungherese più importante. Sempre secondo Kaproncsay (2008), nelle intenzioni dei redattori esso avrebbe dovuto mantenere l’attenzione su leggi e decreti, aperture di scuole e affari educativi, pubblicazioni di libri, studi antiquari e di numismatica e ricerche di storia, ma anche di storia naturale, medicina, agricoltura, industria e manifattura, ecc. ; una sezione dedicata alle “Notizie varie” (Vermischte Nachrichten) consentiva a questo giornale magiaro-enciclopedico una flessibilità di argomenti più ampia. Di fatto, esso si caratterizzò sempre più verso temi legati alla storia ungherese. Gli articoli erano firmati solo con l’iniziale del cognome dell’autore, mentre nei lavori pubblicati a puntate l’iniziale poteva apparire solo in fondo all’ultima ; ma spesso restavano semplicemente anonimi. È per questo che il nostro saggio è stato considerato anonimo per due secoli : la sigla, presente solo nell’ultima puntata, è sfuggita ai (pochissimi) lettori che l’hanno consultato dai tempi di Grellmann.

In base ai miei controlli e salvo errori, Samuel Augustini ab Hortis comincia a collaborare al settimanale viennese nel 1772 con un paio di articoli a taglio storico, ma diventa un collaboratore fisso nella sezione dedicata alla “Storia naturale” (Naturgeschichte) nel 1773, quando escono una decina di suoi articoli sui minerali in Ungheria (su gemme, diamanti, crisoliti, ametiste, pietre preziose, diaspri, ecc.) [16] ; a questi seguono nel 1774 alcuni articoli sui fossili [17]. Nei primi mesi del 1775 ab Hortis pubblica uno studio in otto puntate sui cercatori d’oro e di tesori [18], seguito da una lunga recensione del Briefe über Mineralogie gegenständet del famoso geologo Ignaz von Born [19]. Come vedremo, questi due ultimi lavori sono più legati di quanto non sembri allo studio che segue, che per certi versi ne è una continuazione.

Dal maggio 1775 al maggio 1776 appaiono quaranta puntate di un lavoro intitolato Von dem heutigen Zustande, sonderbaren Sitten und Lebensart, wie auch von denen übrigen Eigenschaften und Umständen der Zigeuner in Ungarn (Sulla situazione attuale, gli strani costumi e il modo di vivere, nonché sulle altre caratteristiche e particolarità degli zingari in Ungheria) [20]. Siccome, come anticipato, la firma “ab H.” appare solo nell’ultimo articolo del 15 maggio 1776, lo studio è stato considerato fino a qualche anno fa come anonimo. Claudia Mayerhofer (1987 : 223) lo attribuì a Ferstyanszky (presumibilmente un refuso per Terstyanszky), il direttore della Anzeigen. È solo dopo che Viera Urbancová (1929-2007) pubblica nel 1994 lo studio di ab Hortis riunendo per la prima volta i diversi articoli in volume in un’edizione bilingue slovacca e tedesca (che intitola Cigáni v Uhorsku / Zigeuner in Ungarn), e che Wim Willems diffonde la notizia nella versione inglese della sua tesi di dottorato del 1995 (originariamente scritta in olandese), che il nome di Samuel Augustini ab Hortis è entrato nei Romani studies a livello internazionale. Nel 2009 è uscita anche un’edizione ungherese a cura di Zita Deáky e Pál Nagy, con traduzione e un’utile messa a punto della bibliografia usata da ab Hortis di László András Magyar.

Già Urbancová (1994 : 6, 93) sottolineava come la monografia di ab Hortis fosse perfettamente in linea con gli interessi per la storia e le culture locali che si andavano sviluppando all’interno dell’Illuminismo austro-ungherese di quegli anni che, vedendo nel popolo la “ricchezza dello stato”, diventava particolarmente sensibile alle conoscenze locali. L’etnologa slovacca ricorda come lo stesso Kollár avesse proposto l’etnologia come nuova disciplina di studio. In effetti, come ha dimostrato Han Vermeulen (2015 : 315-321), Kollár è l’inventore del termine ethnologia, di cui dà la definizione nella sua ultima opera, uscita solo qualche anno dopo la cessazione delle Anzeigen :

Ethnologia […] est notitia gentium populorumque, sive est id doctorum hominum studium, quo in variorum gentium origines, idiomata, mores, atque instituta, ac denique patriam vetustasque sedes eo consilio inquirunt, ut de gentibus populisque sui aevi rectius judicium ferre possint (1783 : 80).

(L’etnologia […] è la conoscenza delle genti e dei popoli, ovvero è quello studio degli uomini dotti attraverso il quale indagano le origini, le lingue, i costumi e le istituzioni delle varie genti, e infine la patria e le antiche sedi, col proposito di poter fornire in modo più giusto un giudizio sulle genti e i popoli del proprio tempo).

Ma se il nome di ab Hortis è stato a lungo sconosciuto, lo stesso non si può dire della pubblicazione in sé. Da quando fu citata come anonima da Grellmann è rimasta famosa solo per aver riportato quella che è stata a lungo considerata la prima testimonianza dell’associazione della lingua dei rom con le lingue del subcontinente indiano (ab Hortis 1776 : 87-88 ; Grellmann 1783 : 217-219), di cui accenno più avanti. Quello che è più interessante sottolineare è che, se ab Hortis scriveva sotto l’influsso ideologico dell’Illuminismo viennese, e di Kollár in particolare, Grellmann scriveva sotto l’influsso ideologico dell’Illuminismo di Gottinga, e di August Ludwig Schlözer (1735-1809) in particolare, di cui fu uno stretto collaboratore (Willems 1997 : 36-38). Come ha dimostrato Vermeulen (2015 : 295-321), Kollár e Schlözer, entrambi ammiratori del dispotismo illuminato dei monarchi austriaci, condividevano un’ideologia intellettuale simile interessata allo sviluppo della conoscenza dei popoli [21]. Kollár conierà nel 1782 il neologismo latino ethnologia proprio su influsso di Schlözer, il quale fin dal 1771 aveva usato il termine tedesco Ethnographie (usato la prima volta nel 1767 da Schöpperlin nella forma latina di ethnographia) e coniato quello di Völkerkunde. Ora, Grellmann (1783 : II) usa questo secondo termine fin dalla Prefazione del suo libro, quando spiega che la descrizione (Beschreibung) delle strane (fremden) usanze degli zingari (Zigeuner) può essere utile per la storia e la Völkerkunde in generale [22]. La Beschreibung der Zigeuner, anche se ancora non si chiamava Tsiganologie, ha insomma accompagnato da vicino e fin dall’inizio la nascita dell’Ethnologia/Völkerkunde nel XVIII secolo.

L’opzione per un’origine extra-europea ma inclusiva : i Romé tartari

Non sappiamo se questo pastore luterano esperto di scienze naturali abbia scritto il lavoro sugli zingari su richiesta di qualcuno o su propria iniziativa. Si può solo dire che sembra si sia trattato di un interesse momentaneo, considerando gli argomenti delle sue pubblicazioni precedenti e di quelle successive [23]. Per facilitare la lettura di ciò che segue, diamo qui l’ordine degli argomenti di cui si compongono le quaranta puntate di Von dem heutigen Zustande, sonderbaren Sitten und Lebensart, wie auch von denen übrigen Eigenschaften und Umständen der Zigeuner in Ungarn :

Introduzione
Dei differenti nomi e appellativi degli zingari in genere
Congetture sull’origine e la vera patria degli zingari
Dell’educazione degli zingari
Del cibo e l’alimentazione degli zingari
Delle case e dimore degli zingar
Delle suppellettili di casa e le faccende domestiche degli zingari
Dell’abbigliamento degli zingari in Ungheria
Dei mestieri e l’allevamento di animali fra gli zingari in Ungheria
Dell’aspetto esteriore e costituzione fisica degli zingari
Del temperamento degli zingari
Della predizione del futuro e della magia fra gli zingari
Delle naturali capacità e abilità degli zingari in genere
Dell’abilità degli zingari nella musica
Della letteratura degli zingari e le loro capacità nelle arti e le scienze
Dell’abilità degli zingari nel servizio militare
Della religione degli zingari
Della lingua degli zingari
Dell’ordinamento interno degli zingari
Della malattia e la morte fra gli zingari
Trattazione sui costumi e lo stile di vita degli zingari in Ungheria e sulla via da intraprendere per migliorare questo popolo

Indubbiamente il testo è stato scritto con impegno. Possiamo individuare cinque tipi di fonti, a partire dalle quali possiamo ricostruire le conoscenze dell’autore, le sue proposte e la sua narrativa :

a. Pubblicazioni precedenti che trattano degli zingari.
b. Fonti manoscritte in latino o in ungherese, non sempre chiaramente citate.
c. Fonti orali ed epistolari : informazioni ottenute da altri intellettuali o pastori protestanti del network delle Anzeigen, non sempre chiaramente specificate.
d. Conoscenza della situazione nell’Ungheria di allora (compresi decreti, leggi, notizie di giornale).
e. Minima esperienza diretta di rapporti con rom, non ben specificata.

Sappiamo da una lettera del 3 febbraio 1775 di Czirbesz, il suo stretto conoscente e collega che abbiamo già incontrato, che in quei mesi un suo amico (non nominato ma presumibilmente ab Hortis) stava lavorando ad un trattato sugli zingari, sulla “storia di questa nazione […] la sua origine, gli usi, costumi, modi di vivere, l’abbigliamento, le malattie, i vizi e sregolatezze, la lingua e cose simili” (“die Geschichte dieser Nation […] ihren Ursprung, Sitten, Gewohnheiten, Lebensart, Kleidung, Krankheiten, Laster und Ausschweifungen, Sprache und dergleichen” (cit. in Willem 1997 : 64 e in Deáky e Nagy 2009 : 18). Si tratta di argomenti che abbiamo appena visto enumerati nell’indice : evidentemente Czirbesz era ben informato sul piano di lavoro. Costui stava aiutando ab Hortis a reperire materiale scrivendo ai suoi contatti della rete delle Anzeigen. Nella stessa lettera (che era indirizzata a Cornides, un bibliotecario di Budapest), Czirbesz informa che Terstyanszky aveva già comunicato un testo di Muratori (Muratorius), un autore che incontreremo fra poco (cit. in Deáky e Nagy 2009 : 18). Insomma il testo redatto da ab Hortis sembra essere il risultato di una ricerca collettiva in cui sono stati coinvolti diversi collaboratori delle Anzeigen, che ha dato forma a una monografia storico-etnografica articolata e mirata, in cui le notizie riguardanti le regioni ungheresi e transilvane sono sempre ben specificate [24].

Possiamo dire che la conoscenza bibliografica di ab Hortis delle opere esistenti su quella che possiamo chiamare la pre-ziganologia dell’epoca era molto buona, specie per quanto riguarda le opere scritte in latino e in tedesco [25]. Grellmann (1783 : I) riconosceva che gli articoli delle Anzeigen cercavano di mostrare un quadro completo degli zingari, che egli voleva perfezionare ; ma esagerava nel dire che al tempo non esistevano altre opere complessive. Il fatto è che non esistevano trattazioni che affrontassero le nuove tematiche che la nuova Völkerkunde/ethnologia richiedeva. Da questo punto di vista, il primo estimatore di ab Hortis fu Grellmann stesso. La letteratura esistente era già all’epoca enorme [26], ma si trattava soprattutto di testi più o meno lunghi inseriti in volumi di teologia, di diritto, di storia, di filosofia, di viaggi, ecc. In tale letteratura l’autore più ampiamente citato era Sebastian Münster (1488-1552), che nella sua Cosmographia aveva inserito un passaggio sugli zingari. Nella prima parte del brano si era appropriato senza citarlo di un testo di Albert Krantz (1450-1517) che rappresenta uno dei passaggi più ziganofobi della storia europea. Uscita in tedesco nel 1544 in prima edizione, la Cosmographia invase l’Europa con traduzioni in latino, italiano, francese, inglese, ceco, e con continue riedizioni. Tanti dei termini peggiorativi latini che Krantz aveva usato per parlare degli zingari (deformes, deformi ; immundi, immondi ; foedi, ripugnanti ; colluvies, feccia, lordume ; ecc.), via Münster saranno ripresi decine e decine di volte da autori di tutt’Europa fino alla fine del Settecento [27].

Esistevano però almeno quattro volumi autonomi di autori tedeschi dedicati agli zingari, due scritti nel Seicento e due all’inizio del Settecento. Questi ultimi due si inserivano nel filone giuridico-criminologico, che nelle terre tedesche aveva prodotto fin dal Cinquecento dei vocabolari di rottwelsch, il cosiddetto gergo della malavita tedesca. La Ausführliche Relation von der Famosen Ziegeuner-Diebs-Mord-und Rauber-Bande di Johann Benjamin Weissenbruch (1727), violentemente ziganofoba e più volte ristampata, riferiva del processo e interrogatorio svoltisi a Giessen nel 1726 contro “la famosa banda di zingari ladri, assassini e briganti” in cui tutti e venticinque gli imputati erano stati giustiziati. La seconda parte del volume (Sectio specialis) era consacrata al processo, mentre la prima parte del volume (Sectio generalis) riassumeva conoscenze generali sugli zingari, specie in riferimento alla legislazione antizingara dei vari stati europei. La Dispuatio Inauguralis de Circularibus Edictis di Joseph Anton Lamberger (1746) si concentrava sulle normative dell’Impero germanico e di alcuni stati tedeschi emesse contro le cosiddette classi pericolose, fra cui un posto d’onore avevano gli zingari. Ab Hortis non si serve di queste due opere né di altra letteratura simile, e non sappiamo se fu perché non la conoscesse o perché la rifiutasse dal momento che le politiche fortemente espulsive e punitive che essa proponeva erano in contrasto con quelle inclusive e “preventive” che egli sollecitava a sostegno delle politiche di Maria Teresa e Giuseppe II. Non si asterrà dall’usarla Grellmann, invece, il quale non si farà scrupolo di saccheggiare quei dizionari, spesso scambiando erroneamente termini del rottwelsch per termini del romanes (Matras 1999:107).

Ab Hortis si servì invece delle altre due opere : La Dissertatio Philosophica de Cingaris del filosofo Jacob Thomasius (1622-1684), discussa all’Università di Lipsia nel 1652 e pubblicata nel 1671, e la Diatribe historico-politica de Zygenorum origine, vita ac moribus del giurista e politico Ahasverus Fritsch (1629-1701) uscita a Jena nel 1660. Benché si possa considerare quello di Fritsch (Fritchius 1660) il primo libro dedicato interamente agli zingari che sia mai stato pubblicato, come ha dimostrato Gronemeyer (1984) esso è in buona parte dipendente dalla Dissertatio di Thomasius, anche se i due testi differiscono in diversi punti. Entrambi erano apparsi dapprima in latino e poi tradotti in tedesco, anche in più edizioni [28]. Non si tratta di personaggi secondari. Jacob Thomasius (da non confondere col figlio, Christian Thomasius, considerato uno dei proto-illuministi tedeschi [29]), professore all’Università di Lipsia di Morale, Dialettica ed Eloquenza, era stato insegnante di Leibniz e col famoso filosofo manterrà un contatto costante ; circa gli zingari mantiene una visione in linea con le politiche applicate dagli stati tedeschi fin dalla fine del Quattrocento : devono essere espulsi. Fritsch, dal canto suo, aveva ricoperto importanti incarichi giudiziari e politici nello stato di Schwarzburg-Rudolstadt, in Turingia, ed era stato un riconosciuto compositore di inni sacri. Come giurista appare un accanito nemico degli zingari ma, influenzato dalle correnti pietiste, si chiedeva anche se e come poterli rendere utili alla società. Dopo aver pubblicato nel 1659 un volume in cui si scagliava contro i ’mendicanti validi’, zingari compresi (Fritschius 1659), l’anno dopo pubblica la sua Diatribe, il cui incipit, che li individua in modo fulmineo come ’una specie infame di vagabondi’ (Infame quoddam Erronum genus), è già sintomatico del contenuto.

I testi di J. Thomasius e Fritsch costituiscono la base di cui si serve ab Hortis per collegare i suoi ’zingari ungheresi’ alla narrativa pre-ziganologica internazionale allora dominante. Ma si tratta di un collegamento ambiguo, in cui figurano continuità ma soprattutto rotture. Una prima parte del lavoro di ab Hortis, in cui egli riprende la panoplia di teorie fino ad allora avanzate per spiegare la provenienza degli zingari, dipende in buona parte dai due autori tedeschi. Le fonti che cita sono spesso le stesse ; anche se qua e là le aggiorna con pubblicazioni nuove, come ad esempio quando cita le opere di Ludovico Antonio Muratori, il sospetto che qualche volta le usi senza averle a sua volta consultate è robusto. Nonostante questo, si smarca dai due autori secenteschi : Fritsch aveva sposato quella che altrove ho chiamato la ’teoria Pio/Krantz’ (Piasere 2006 : 31-35), secondo cui gli zingari erano un miscuglio di gente proveniente dalla feccia della società europea, mentre J. Thomasius sembrava allinearsi con quella che Angus Fraser (1990b) ha chiamato la ’teoria della doppia origine’, in base alla quale i primi zingari apparsi in Europa occidentale agli albori del Quattrocento sarebbero stati davvero egiziani, come essi si proclamavano, ma, tornati in patria dopo i sette anni di penitenza previsti, sarebbero stati sostituiti da vagabondi locali che si spacciavano come i discendenti di quegli zingari esotici. Come analizza Gianluca Solla (2018), in fondo per J. Thomasius gli zingari non esistevano veramente : quelli del Quattrocento se n’erano tornati da dove erano venuti, quelli del presente non erano che falsi zingari. Alla fine, quindi, nel presente, gli zingari come “popolo” non esistevano né per Thomasius né per Fritch, e la scelta che si poneva era tra l’allontanamento da un lato e la punizione o la “riconversione” tramite il lavoro coatto dall’altra.

Circa l’origine degli zingari, Ab Hortis non segue né Thomasius né Fritsch ; egli sposa quella che ho chiamato la ’teoria Piccolomini’ (Piasere 1989 ; 2006 : 5-9), in base alla quale gli zingari erano derivati da popolazioni tartare. Si trattava di un’idea ampiamente condivisa nel nord Europa, tanto che a livello popolare, in una fascia che comprende l’Olanda settentrionale, la Danimarca, la Scandinavia e la Germania del nord, uno dei nomi con cui sono indicati gli zingari era, e in parte è ancora, ’tartari’ [30]. Già la prima cronaca di Hermann Corner che descrive l’arrivo dei primi secani (i. e. cigani) nelle città anseatiche nel 1417, li diceva “neri come i tartari” (“nigri ut tartari”) [31] ; ancora Fritch (1660 : B3) informa che “il popolo li chiama tartari” (“Tartaros vulgus appellat”). Ab Hortis disgiunge il problema della provenienza originaria da quello delle migrazioni : tanti dicono che vengono dall’Egitto ? Vorrà dire che sono dei tartari che prima di arrivare in Europa sono passati dall’Egitto ! È lo stesso procedimento di pensiero che userà William Jones non tanti anni dopo, come abbiamo visto.

Tale disgiunzione gli permette anche di citare la famosa testimonianza sulla corrispondenza linguistica della lingua zingara con una lingua indiana. Si tratta di una lettera scritta in latino che gli manda il capitano Sámuel Székely von Doba (1704–1779) dalla vicina Prešov/Preschau/Eperjes, uno studioso del network di Kollár (Kaproncsay 2008 : 231) e collezionista di documenti antichi [32]. Essa fra l’altro mostra bene la modalità di raccolta delle informazioni per via epistolare. Come analizzato altrove (Piasere 1989 : 119-120 ; 2006 : 47-50), quella che oggi passa come la notizia sulla scoperta dell’”origine indiana” degli zingari ha una struttura singolare :

 Il 6 marzo 1776 (pag. 86), ab Hortis riporta che
 “di recente” (ohnlängst) il capitano Samuel Székely von Doba gli ha comunicato che
 il 6 novembre 1763 ebbe una visita da parte di Stephan Pap Szathmar Nemethi, stampatore di Carei/Großkarol/Nagykároly, che gli riferì che
 il pastore di Almásfüzitő/Almás (comitato di Komárom/Komorn) Stephan Vali (István Váli), mentre studiava a Leida (in Olanda), si era accorto che la lingua di tre studenti del Malabar era simile a quella degli zingari.

Come si vede, un’informazione di quarta mano informa della casualità della scoperta ; amplificata poi dal libro di Grellmann, essa farà il suo cammino e scatenerà la competizione per il primato della scoperta stessa, assumendo molte delle caratteristiche spesso associate alle “scoperte simultanee”, cioè fatte contemporaneamente da più persone. La verisimiglianza storica della vicenda di Vali è stata dimostrata (Hancock 1993 ; Willelms 1997 : 57-58) e pare che l’incontro del pastore con gli studenti dell’”isola del Malabar” (Insula Malabaria) – presumibilmente l’isola di Ceylon – sia avvenuto introrno al 1753-54, cioè una ventina di anni prima della pubblicazione delle Anzeigen.

Ai tempi di ab Hortis la linguistica storica è ancora sul nascere, le leggi di trasformazione fonetica sono di là da essere scoperte e il naturalista non crede a quelle che chiama semplici somiglianze di suoni ; riporta quindi quella che diventerà “la scoperta” come un semplice contributo alla completezza della sua dissertazione. Citando quella corrispondenza linguistica per lui non importante, ab Hortis resterà per due secoli l’anonimo più famoso nell’ambito della ziganologia. Per giustificare la sua “disattenzione” dobbiamo ricordare che la questione dell’origine costituiva un’ossessione fin dalle prime attenzioni che gli umanisti a partire dal Quattrocento avevano dedicato agli zingari (Piasere 1989 ; Campigotto et al. 2020). La testimonianza di Stephan Vali, agli occhi dell’ab Hortis inesperto linguista, poteva solo assurgere a una nuova ipotesi in competizione con qualche altra decina di teorie.

Di fatto, egli è sotto l’influenza degli storici e studiosi ungheresi alle prese con la storia di Unni, Ungari, Avari, ecc., ed è qui che si discosta da J. Thomasius e Fritsch. I due autori tedeschi, e tutti gli autori precedenti che essi citavano e che egli stesso cita, erano prigionieri dell’ideologia di cui si nutriva quello che altrove ho chiamato l’approccio occidentale nelle politiche antizingare (Piasere 2004), un approccio che per secoli aveva previsto la caccia alle persone identificate come zingari, che dovevano essere o annientate fisicamente o allontanate dai territori dei reami, politiche che tra il Cinquecento e il Settecento avevano cercato di ’deziganizzare’ gli stati dell’Europa occidentale. Ab Hortis (1776 : 150) si pone quello che egli stesso chiama la ’vecchia questione’ (alte Frage), cioè se sia ammissibile la presenza degli zingari all’interno di uno “stato ben ordinato” (wohlbestellten Republick). Già sollevato da diversi giuristi nel Cinquecento a partire almeno da Jean Bodin e Giovanni Botero [33], in Germania era stato ripreso sia da J. Thomasius (1671 : §68), sia da Fritch, (1660 : cap. IV), sia da Weissenbruch (1727 : 19-42). Il più importante giurista a cui costoro fanno riferimento è Christoph Besold, non a caso citato anche da ab Hortis seguendo Fritsch. Christoph Besold (1577-1638) era un giurista di Tubinga che più volte nelle sue opere aveva trattato non solo del problema dei vagabondi in Europa, ma del problema delle popolazioni mobili in generale e del loro rapporto con lo stato. Ad esempio, trattando del concetto di ’territorio’ egli (Besoldus 1624 : 260) si era chiesto se i domini dei tartari e degli arabi, popoli “vagabondi e inoperosi” (vagi et otiosi), costituissero un vero stato (vera Republica) ; e dal momento che neanche gli zingari possono avere un territorio delimitato, essi, come gli altri popoli “che girano da un luogo all’altro” (’de loco in locum commigrantes’), è da dubitare che possano avere un loro stato (Besoldus 1625 : 81).

Questo è lo snodo cruciale anche del lavoro di ab Hortis : il rapporto con lo stato, e in particolare, vista la situazione storica, il rapporto degli zingari col Regno di Ungheria. Dopo che la maggior parte del territorio di questo Regno, assieme alla Transilvania e al Banato, era tornato alla fine del Seicento a far parte dei domini asburgici dopo centocinquant’anni di dominio ottomano, i regnanti si erano ritrovati delle regioni in cui il numero dei rom era considerevole. Gli ottomani, infatti, non avevano mai applicato una politica di rigetto verso gli zingari, che si erano propagati in tutte le loro regioni, dove conducevano in buona parte una vita stanziale. Parlare nell’Ungheria di allora dell’origine mongolo-tartara degli zingari, quindi, significava cercare di equipararli in qualche modo agli ungheresi stessi, significava inserirli in un passato comune, o in parte comune, in un passato comunque diverso sia da quello dei turchi, forse imparentati coi tartari ma musulmani (ex dominanti), sia da quello degli austriaci (dominanti attuali). Gli zingari di ab Hortis non sono presentati né come la feccia delle nazioni, alla Fritsch, né come un popolo totalmente straniero o falsamente straniero, alla Thomasius, ma come un popolo con dei probabili legami storico-culturali con la popolazione magiara. In linea con la politica assimilazionista dell’imperatrice, egli ne cerca la comunione anche in un passato che possa legittimare la loro presenza fra gli ungheresi. Nel 1664, forse in ambiente sassone-transilvano, era uscito un libello anonimo sui Cingaren, Ziegeuner oder Tattern che contestava che gli zingari fossero tartari, e aggiungeva per contrasto una breve descrizione dei “veri” tartari (C.B.L.M.V.R. 1664). Forse ab Hortis non conosceva quelle poche pagine, comunque significative di una discussione che in Ungheria diventava delicata, e si appoggia ad autorità ben più importanti : il grande linguista e storico Ferenc Fóris Otrokocsi (1693 : 171) aveva addirittura fatto derivare l’ungherese ’Czigáni’ (“zingari”) da ’Chagan’, termine àvaro per ’capo supremo’ ; il geografo e storico János Tomka-Szászky (1759 : III, 7) aveva da poco confermato che gli zingari derivavano o dei tartari àvari o dai peceneghi (popolazione tartara estintasi nel XII secolo) di cui essi potevano essere i discendenti. Una ventina d’anni dopo Beregszászi (1796 : 128-132) cercherà di mostrare le affinità della lingua zingara col magiaro. I fini ’inclusivi’ che ab Hortis si dà in tutto il trattato sono evidenti fin da questa sua opzione per l’origine tartara. Gli storici ungheresi che cita, sconosciuti nella letteratura europea precedente sugli zingari, appariranno completamente decontestualizzati quando ripresi da Grellmann e dai plagiari successivi, e faranno scomparire il senso degli intenti di ab Hortis.

La stessa motivazione lo porta a non dare importanza a quella che in realtà è la prima testimonianza dell’esistenza dell’autonimo “Rom”, un termine fino ad allora inesistente nella letteratura e che dopo ab Hortis, e dopo Grellmann, invaderà la ziganologia. Continuando a parlare di assonanze linguistiche ingannevoli, riporta l’idea di tal “Hußti” il quale, riferendo che gli zingari in Transilvania si dicono essi stessi Rome, allora poteva essere che provenissero da una regione dell’Asia Minore un tempo chiamata Roni o Romi, nei pressi del fiume Akara (i. e. Ankara) (ab Hortis 1776 : 93) [34]. Ora, la stessa informazione era stata data da Pray (1767 : 274), che sarà citato da Grellmann (1783 : 188-189) probabilmente via Griselini (1780a : 198). Io stesso ho creduto che Pray fosse il primo autore a testimoniare l’autonimo “Rom” (Piasere 2019b : 96), ma sbagliavo. Ab Hortis, infatti, non cita Pray, bensì quello Hußti che avrebbe riportato la sua teoria in un’opera intitolata Dacia mediterranea (senza nessun’altra indicazione). Invero si tratta di András Huszti, un pastore calvinista professore di diritto a Cluj (poi cacciato per eresia e diventato cattolico) nato a Chust/Huszt (oggi in Ucraina) alla fine del Seicento o ai primi del Settecento e morto nel 1755 [35]. In un suo manoscritto intitolato Dacia vetus et nova, seu de Transilvaniae veteris et novae rebus historica commentatio (Horányus 1776 : 188), che conosciamo attraverso la sua versione ungherese della fine del Settecento, presenta un capitolo interamente dedicato agli zingari (“A’ Tzigányokrol”) in cui è esposta in dettaglio la teoria riportata da ab Hortis e da Pray (Huszti 1791 : 146-149), il cui incipit è : “Il nome di questo popolo nella loro lingua è Romé” (“Neve ennek a’ Népnek a’ maga tulajdon nyelvén Romé”). Evidentemente il manoscritto circolava, ma mentre ab Hortis ha correttamente citato l’autore, Pray se ne è “dimenticato” [36]. Secondo un biografo (Török 1886 : 276) la stesura della Dacia risalirebbe al 1735-1736, dal momento che il manoscritto compare citato in un altro lavoro di Huszt pubblicato nel 1742. Grazie ad ab Hortis, dobbiamo quindi spostare la prima occorrenza letteraria dell’autonimo “Rom” agli anni Trenta del Settecento.

I teologi protestanti, i mineralogisti e la comparsa dei Bräschen

Ab Hortis è uno studioso di storia naturale prestato momentaneamente non tanto alla storia degli Zigeuner, ma alla descrizione delle loro condizioni nel Regno di Ungheria del tempo, come specifica bene nel titolo. È lo stato “attuale’ (heutigen) che gli interessa. Il riassunto degli argomenti che sarebbe stati trattati nell’annata 1775 nelle Anzeigen, elencati nel primo numero, lo annunciavano giusto come una presentazione sulla Verfassung und andern Eigenschaften des Zigeunervolkes in dem Königreich Ungarn und Siebenbürgen (“Lo stato e le altre caratteristiche del popolo zingaro nel Regno di Ungheria e Transilvania”). Questo spiega perché, della sessantina di rimandi bibliografici che fa, una ventina, cioè un terzo buono, riguardano testi che hanno parlato degli zingari trattando di storia e geografia dell’Ungheria o della Transilvania, e spesso pubblicati in loco. Da buono studioso locale che mira alla ricostruzione di un quadro nazionale, e senz’altro grazie alla rete dei collaboratori delle Anzeigen che gli fornirono materiali, ab Hortis appare ottimamente aggiornato e sfrutta studi allora pressoché sconosciuti all’estero. Ma quegli studi hanno anche la caratteristica di dare una descrizione degli zingari molto diversa da quelle infamanti di Fritsch, Thomasius, Besold ecc. Da qui tante contraddizioni che si leggono nell’opera, in cui stereotipi ’alla occidentale’ si mescolano a descrizioni prive di pregiudizi e a volte perfino connotate da sopravvalutazioni positive, in cui precise distinzioni nei modi di vita tra zingari ungheresi e zingari transilvani si accompagnano a generalizzazioni abusive sul “temperamento” (Gemüthskarakter) zingaro in generale. Queste contraddizioni a mio avviso non intaccano la grande rottura che ab Hortis marca con le filosofie politiche precedenti, che predicavano il bando generalizzato degli zingari in nome di xenofobie o pauperofobie radicali, in favore di una convinta fiducia sulla possibilità di una totale riabilitazione degli zingari tramite la loro assimilazione.

L’impianto illuminista è evidente dal ruolo che egli dà ad ogni piè sospinto all’importanza della educazione in quanto ri-educazione, come è evidente il peso del quadro delle politiche dell’assolutismo illuminato verso gli zingari, su cui tornerò subito ; ma sarebbe sottovalutare altri influssi se ci si limitasse a constatare questo. Ha ragione Attila Landauer (2011) ad attirare l’attenzione data agli zingari dagli ambienti protestanti dell’Ungheria e della Transilvania. István Váli, lo ’scopritore’ della parentela del romanes con le lingue indiane, era un teologo ungherese di una certa fama appartenente alla Chiesa riformata. Ab Hortis è in difficoltà con la lingua : da un lato deve tener presente che esiste un decreto del 1767 che vieta agli zingari di usarla, e si sofferma sulla loro abilità nel parlare l’ungherese e lo slovacco (meno amato era il tedesco), dall’altro vive nel periodo in cui c’è molta curiosità sulla loro lingua. Riporta egli stesso un breve dizionario e due traduzioni del Padre Nostro, avuti da ’fonte sicura’, che secondo Landauer proverrebbero da ambienti protestanti. In Transilvania negli stessi anni, e sempre in ambienti protestanti, si raccoglie un dizionario ’Zingarico-Latinum’, rimasto a lungo manoscritto ma conosciuto fin dal 1768 [37]. Possiamo aggiungere che Otrokocsi stesso era stato un predicatore (originario da regioni oggi slovacche) che, perseguitato e imprigionato, visse per un periodo in Olanda e Inghilterra ; Tomka-Szászky era pure un geografo slovacco protestante ; Huszti era (stato) calvinista, seppur in modo eterodosso. Ab Hortis cita spesso un’opera di Martin Kelp (v. Kelpius 1684 : 14), un sassone transilvano che era stato rettore della scuola evangelica di Sighişoara/Schäßburg/Segesvár.

Si tratta di autori che portano notizie fondamentali alla costruenda ziganologia. Il breve passo di Kelp, ad esempio, è importante perché introduce una decostruzione della categoria “zingari”. Tutti gli autori, immancabilmente – e anche ab Hortis nei primi capitoli della sua monografia –si soffermavano sulla bizzarria dei tanti nomi dati agli zingari da una lingua all’altra, ma che in fondo venivano presentati come se fossero un unico tipo di uomini (hoc genus hominum è l’espressione di gran lunga più usata nei testi in latino : v. Campigotto et al. 2020). Solo Vulcanius (1597 : 100-110) aveva operato una prima distinzione tra zingari che parlano quello che riteneva una lingua “nubiana” (cioè romanes) e quelli che parlano una lingua “artificiale”, il rottwelsch [38]. Ora Kelp introduceva una distinzione fra gli stessi “nubiani” sulla base della sua esperienza, distinguendo in Transilvania due gruppi : quello che chiamava i “più moderati” (Modestiores), abitanti in insediamenti posti ai confini di città e villaggi (quelli oggi noti come țiganie in romeno), e quello dei moldavi (Moldavi), che entrano in Transilvania “come ragni” proponendosi come indovini. Pur citando questo passo, ab Hortis (1775 : 294) perfeziona la decostruzione sugli zingari della Transilvania, indicando tre categorie (Klassen) : i moldavi (Moldavische), quelli parlanti tedesco (Deutschredende) e gli “zingari del cucchiaio” (Löffelzigeuner). Questi ultimi corrispondono ai lingurari dei paesi romenofoni (lett. “fabbricanti di cucchiai”), gli artigiani del legno che fabbricavano e smerciavano cucchiai, mestoli e altri attrezzi da cucina. I moldavi, dice l’autore, sono calderai e sono spregiativamente chiamati dai sassoni (di Transilvania) Layen o laysche Zigeuner o lasch Zigunen ; essi corrispondono ai laieși o țigani de lae dei romenofoni (lett. “che vivono in bande”), gruppi che praticavano un’alta mobilità.

Se i lingurari e i laieși sono molto noti nella storia dei rom romeni, interessante appare la presenza in Transilvania di quelli “parlanti tedesco”, tanto più che un anno dopo (1776 : 96) dirà che gli zingari, oltre alla loro madrelingua, in Transilvania parlano romeno, mentre non amano parlare tedesco, nemmeno quelli che vivono fra i sassoni : solo le donne lo farebbero per lavoro, quando intente a predire il futuro. Questa contraddizione deriva forse dal fatto che ab Hortis metteva insieme notizie che riceveva da più parti che potevano non collimare le une con le altre. In questo caso potrebbe anche essere che si trattasse di zingari provenienti da regioni tedescofone dei regni asburgici, arrivati di propria iniziativa o in seguito alle politiche governative di neo-colonizzazione dei territori sottratti agli ottomani. In un altro passo, infatti, parla delle „cosiddette egiziane o zingare che parlano tedesco” („die sogenannten Egytierinnen oder deutschredende Zigeunerinnen”) che si coprono d’inverno solo di un lenzuolo o di una coperta sotto la quale tengono un pentolino con carboni ardenti (1775 : 311). Ab Hortis non potè usufruire della Transsilvania di Joseph Benkő (1740-1814) che uscirà qualche anno dopo, in cui il teologo della chiesa riformata, di origini sicule (o seklere), darà una descrizione ancor più dettagliata degli zingari locali e delle loro professioni (Benkő 1778 : 501-508). Egli dividerà gli zingari in due grandi categorie : gli oridinarii e i linteati. I primi erano a loro volta suddivisi in sedentari (domigenae) e nomadi (tentaricolae), mentre la descrizione dei secondi, che girovagavano di rado in Transilvania, ricorda molto quella che davano gli autori romeni dell’Ottocento sui netoți delle confinanti Valacchia e Moldavia, zingari considerati tanto selvaggi che nessuno riusciva nemmeno a rendere schiavi, condizione comune degli altri zingari (v. Achim 1998 ; Piasere 2005, 2015). I linteati, cioè quelli “col lenzuolo” (lepedös Czigányok è l’espressione ungherese riportata) ricordano gli zingari “tedeschi” di ab Hortis. Essi anche d’inverno dormono all’aperto sotto la neve servendosi solo di stracci e di qualche coperta, e solo verso questa “orrenda sorta di uomini” (horrendum hominum genus) Benkő declina un ribrezzo totale.

Se è vero che gli studiosi protestanti prevalgono, evidentemente attenti alla situazione degli zingari della regione, la rete aperta delle Anzeigen, nello spirito di Kollár, può aver suggerito ad ab Hortis anche opere scritte da gesuiti, in generale molto attivi nei domini di Maria Teresa fino alla loro espulsione nel 1773, ma molto meno “empatici” verso gli zingari dei loro colleghi protestanti. Ad esempio, egli si trova a citare lavori dello stesso Pray, di Szent-Ivány (1691), di Turóczi (1729) e soprattutto di Laurent Töppelt (v. Toppeltinus 1667), un sassone transilvano a cui le Anzeigen avevano dedicato una serie di articoli nell’agosto 1775. Un altro gesuita è quel Muratorius che compare nella corrispondenza di Czirbesz sopra citata. Si tratta di Ludovico Antonio Muratori (1672-1750), uno dei fondatori della storiografia italiana, che tra il 1731 e il 1751 aveva pubblicato a Milano (allora parte dei domini asburgici) diverse opere in cui parlava degli zingari. Compì fra l’altro l’enorme lavoro di pubblicare decine di cronache medioevali rimaste fino ad allora manoscritte, tra cui quella che narrava dell’arrivo a Bologna nel 1422 di “Andrea, duca d’Egitto”, ancora oggi considerata la testimonianza più antica della presenza rom in Italia. Ancora una volta è ab Hortis che, dietro suggerimento della rete delle Anzeigen, “lancia” un autore che resterà nella storia della ziganologia. Una delle sue opere era stata da poco tradotta in tedesco (Muratori 1750 : 224), ma ab Hortis cita anche opere in italiano. Muratori era un esponente dell’Illuminismo cattolico, molto lontano dalle posizioni di ab Hortis : se costui perorava in favore degli zingari, Muratori si lamentava invece degli stati italiani, che a suo dire non erano sufficientemente duri nei loro confronti [39].

Un’altra serie originale di fonti deriva dalle sue conoscenze di mineralogista, basate sui testi che esperti circa l’estrazione mineraria nei Balcani andavano in quegli anni divulgando sul ruolo che avevano anche gli zingari. Dicevamo che i suoi lavori immediatamente precedenti pubblicati nelle Anzeigen nel 1775 erano sui cercatori d’oro e su un libro di von Born. Dicevamo che non sappiamo se la monografia gli fosse stata richiesta o se fosse una sua iniziativa ; ma un ragionevole sospetto suggerisce che l’idea di scriverla sia stata sorretta dalla congiunzione dei due suoi interessi principali : quello di naturalista, che lo ha portato alla scoperta degli zingari cercatori d’oro, e quello di pastore luterano attento alle condizioni sociali della gente e al contempo favorevole alle riforme educative di Maria Teresa (vedi sotto). È l’“emersione” degli zingari che facevano cercatori d’oro per professione che introduce un cambiamento fondamentale rispetto alla letteratura precedente. Un altro gesuita slovacco, János Fridvaldszky (1767) prima, e soprattutto Ignatz von Born (1774) poi, giusto nel volume recensito da ab Hortis, avevano attirato l’attenzione sull’importanza della presenza zingara fra i cercatori d’oro lungo i fiumi e torrenti della Transilvania e del Banato. Bisogna ricordare che von Born (1742-1791), un sassone di Transilvania nativo di Alba Iulia/Karlsburg/Gyulafehérvár, era in quegli anni lo scienziato più in vista dell’impero asburgico, di fama internazionale, un dichiarato anti-clericale dalle spinte idee illuministe. Nel suo libro cita molto spesso gli zingari e sottolinea l’importanza del loro apporto. Riporta anche le descrizioni di due esperti di miniere, Anton von Koczian e Francis Dembscher, che avevano visitato il Banato ripettivamente nel 1769 e 1770-71. Il primo in particolare descrive in dettaglio e con l’occhio dello specialista l’attività degli zingari dediti alla ricerca dell’oro (in von Born : 1774 : 84-93). Sono quegli “zingari del cucchiaio” di cui parlavamo prima, i quali, come spiegava ab Hortis, univano l’attività di lavoratori del legno e boscaioli a quella di cercatori d’oro. Ab Hortis è attento a riportare quanto diceva Friedvaldszki (1767 : 32), cioè che essi non amano esser chiamati Zigan, ma preferivano Araniász, termine ungherese per “cercatore d’oro” ; e ab Hortis (1775 : 294) completava il quadro informando che preferivano chiamarsi Araniász o Bräschen. Questo secondo termine apparentemente strano - anche nelle versioni slovacca (v. Augustini ab Hortis 1994 : 28) e ungherese (v. Augustini ab Hortis 2009 : 127) viene riportato inalterato - rimanda molto probabilmente a baeš, beaš, boiaš, termini diffusi nelle regioni magiarofone e corrispondenti a quelli romenofoni di aurari e rudari [40]. Si intravvede in queste testimonianze come già nella seconda metà del Settecento i rudari/beaš non volessero essere identificati come zigani, una questione ben nota nell’etnografia contemporanea che ha sollevato tante discussioni : se i rudari, pur considerati zingari, non si ritengono rom né sono ritenuti rom dai rom, e nemmeno parlano romanes, fanno parte dell’ambito della ziganologia ? E/o della romologia ? È il solito granello che rischia di inceppare tutto il motore classificatorio !

Ricordiamo che il Banato fu visitato in quegli stessi anni da Francesco Griselini, un poliedrico intellettuale che visse tra Venezia e Milano, il quale qualche anno dopo descrisse le loro condizioni di vita e le loro umili dimore interrate, presenti all’epoca non solo in quelle due regioni, ma anche in Moldavia e Valacchia [41]. Ovunque, sia nei regni asburgici che nei principati romeni il loro lavoro era direttamente controllato e specificatamente tassato dallo stato (v. ora Nichetean e Jianu 2004 ; Nagy 2019).

L’imperatrice cattolica e la deziganizzazione del reame

Ab Hortis nella sua monografia presenta un ritratto molto più positivo degli zingari transilvani rispetto agli zingari ungheresi, ed è probabile che le descrizioni condivise sugli zingari cercatori d’oro di autori ideologicamente così diversi come Fridvaldszky e von Born l’abbiano influenzato in questa direzione. Ma è anche probabile che abbiamo qui un allineamento con la situazione politica di quegli anni. Nella lettera in cui Czirbesz parlava dell’amico spiegava anche egli era mosso dalla preoccupazione che aveva l’Imperatrice per il “governo dei poveri zingari” (die Regierung des armes Zigeunervolks) (cit. in Willems 1997 : 64 ; in Deáky e Nagy 2009 : 18). Si trattava di una politica in piena evoluzione per quanto riguarda i rapporti tra il pluri-stato asburgico e gli zingari. Siamo nel periodo della co-reggenza tra Maria Teresa d’Austria ed il figlio Giuseppe II ; siamo nel periodo delle grandi riforme che cercano di far diventare i domini asburgici uno stato centralizzato, burocraticamente e militarmente ben organizzato ; siamo in quel periodo del cosiddetto assolutismo illuminato che nella storia degli zingari d’Europa è da tempo conosciuto come il periodo di nascita delle più dure politiche di assimilazione. Nella storia europea delle dinastie regnati europee gli Asburgo hanno avuto un ruolo di primo piano riguardo agli zingari. Massimiliano I d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero, firmò nel 1497 il primo editto antizingaro in assoluto emanato da uno stato europeo ; due anni dopo fu seguito in Spagna dai consuoceri, i re Cattolici, e sarà definitivamente confermato dal nipote dell’uno e degli altri, Carlo V d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero e re di Spagna, iniziando la grande guerra antizingara che insanguinerà tutta l’Europa non ottomana e non zarista fino alla seconda metà del Settecento. Nella seconda metà del Settecento sono appunto gli Asburgo d’Austria che ribaltano quella politica tanto sanguinaria quanto perdente, subito variamente seguiti nel loro tentativo da altri stati. Inoltre, un pronipote in linea diretta di Maria Teresa, l’arciduca Giuseppe Carlo d’Austria (1833-1905), diventerà un famoso studioso dei rom, contribuendo alla costituzione della ziganologia europea di fine Ottocento. Pubblicò un libro sulla lingua (v. Jószef Főherczeg 1888) e costituì in uno dei suoi possedimenti, non lontano da Budapest, una colonia di zingari con l’intenzione di sedentarizzarli. Fu un personale tentativo, fallito dopo qualche anno, di applicare quanto la bisnonna aveva cercato di imporre un secolo prima. Anche da questo punto di vista, possiamo vedere il posto complesso che gli Asburgo hanno avuto nella storia dei rapporti con gli zingari in Europa.

Tornando al Settecento, conosciamo sette decreti : due emanati durante il regno della sola Maria Teresa (1758 e 1761), due durante la coreggenza con Giuseppe II (1767 e 1773), tre durante il regno di quest’ultimo (giugno 1783, settembre 1783 e ottobre 1783). Si tratta di sette disposizioni dalla progressione impressionante, che probabilmente solo la morte di Giuseppe II nel 1790 e i rivolgimenti seguiti alla Rivoluzione francese interromperanno, per essere ripresi, con modalità diverse ma con una filosofia simile, in Europa dopo la Seconda guerra mondiale. Ora, i primi quattro erano in vigore nel Regno d’Ungheria, il quinto riguarda l’abolizione della schiavitù degli zingari nella Bucovina (una regione acquisita dall’impero asburgico nel 1775, prima parte del principato di Moldavia dove gli zingari resteranno schiavi fino al 1855), il sesto servirà ad allargare al Grande Principato di Transilvania le precedenti disposizioni emanate per gli zingari ungheresi, mentre il settimo, il più articolato di tutti, le intensificherà ed entrerà in vigore contemporaneamente in Ungheria e in Transilvania. Ab Hortis si trova quindi a scrivere negli anni successivi al quarto decreto, quando il furore riformista di Giuseppe II non aveva ancora coinvolto gli zingari di Transilvania, ed è forse per questo che egli marca nel modo che abbiamo detto la differenza tra zingari ungheresi e transilvani.

Riassumo brevemente le prime quattro disposizioni emanate nel Regno di Ungheria, seguendo la traccia offerta da Claudia Mayerhofer (1987 : 23-32) :

1758 : Viene vietato agli zingari il possesso di cavalli e di carri per favorire la loro sedentarizzazione. I grandi proprietari erano invitati a fornire dimore agli zingari o il materiale perché se le costruissero ; in cambio gli zingari dovevano al signore 18 giorni di corvées all’anno e un canone di affitto di 1 gulden per la casa/capanna. Gli zingari potevano viaggiare solo se ne avevano il permesso e in itinerari prestabiliti dalle autorità.

1761 : Gli zingari non dovevano più chiamarsi “zingari” ma diventavano a seconda dei contesti : nuovi-magiari, nuovi-contadini, nuovi-coloni, nuovi-banatici (nel Banato), ecc. Qui Maria Teresa pescava dalla tradizione dinastica di un altro Asburgo, Filippo IV di Spagna, il quale nel 1633 aveva stabilito che i gitanos del suo regno dovessero essere chiamati “nuovi castigliani” e dovessero abbandonare i loro costumi [42]. L’imperatrice d’Austria lo segue in questa politica di de-identificazione, ma vi aggiunge una sua originalità : i maschi dai 12 ai 16 anni dovevano imparare un mestiere e gli artigiani non zingari erano invitati ad assumerli ; poi, i maschi di 16 anni dovevano svolgere il servizio militare ed essere accettati nei reggimenti al pari degli altri sudditi.

1767 : Gli zingari non potevano più amministrarsi da soli la giustizia interna, che fino ad allora era riservata ad un loro giudice detto voivoda : tutti dovevano ora dipendere dalla giustizia locale, la quale doveva anche controllare il loro processo di sedentarizzazione, la loro dismissione del modo tradizionale di vestire, di mangiare e di lavorare. Non dovevano più parlare la loro lingua, ma una di quelle ammesse nel regno. Vengono istituite le liste di coscrizione, censimenti che ogni unità locale doveva redarre sul numero e identità degli zingari presenti.

1773 : Vengono proibiti i matrimoni tra zingari. I matrimoni tra zingari e non zingari sono possibili, ma solo se : a) la zingara era in grado di dimostrare che fino ad allora aveva lavorato sotto un padrone ed era stata istruita nel catechismo cattolico ; b) lo zingaro era in grado di dimostrare di riuscire a mantenere la famiglia con un lavoro fisso. Si stabilisce di togliere agli zingari tutti i figli dai 5 anni in su ; questi devono essere dati a contadini o artigiani non zingari, i quali venivano risarciti per le spese di mantenimento con somme variabili, a seconda dell’età e del sesso, da 4 a 12 Gulden. Una disposizione aggiuntiva del 1774 stabiliva anche che gli orfani di zingari luterani venissero affidati a contadini o artigiani cattolici.

È evidente che questi provvedimenti andavano in due direzioni : da un lato cancellare l’identità degli zingari, dall’altro trasformarli in cittadini utili allo stato in sintonia con le altre riforme che nel frattempo venivano realizzate. Quando Filippo IV in Spagna, un secolo e mezzo prima, aveva trasformato i gitani in “nuovi castigliani”, pur in analogia con gli ebrei convertiti che tempo prima erano stati trasformati in “nuovi cristiani”, vedeva il problema nell’assimilazione di una minoranza che sanciva essere di ordine sociale e non culturale, dal momento che l’idea degli intellettuali organici al potere era che essi fossero dei falsi egiziani, cioè dei falsi stranieri (Leblon 1985 : 38-41). Maria Teresa ha una situazione diversa : lei domina un impero multinazionale e gli zingari compaiono invariabilmente nel novero dei populi o nationes, termini spesso usati come sinonimi, che compongono l’Ungheria e la Transilvania, e questo a prescindere dalla provenienza o dalla religione dell’autore che ne parla (anche se nella lista vengono sempre o quasi descritti per ultimi e spesso in termini denigratori). Anche nella letteratura in tedesco sono indicati come Volk o Nation. Ab Hortis si serve più del primo, ma non disdegna spesso il secondo ; in pochi casi li chiama “schiatta zingara” (Zigeunergeschlecht). Otrokocsi (1693, parte I, cap. I, § 9) dice che in Ungheria, senza contare i dialetti, si parlano sette lingue, comprendendo nel novero quella zingara ; qualche anno prima Töppelt (Toppeltinus 1667) li aveva già enumerati fra le nationes transilvane assieme a ungheresi, siculi, sassoni e valacchi, anche se a denti stretti chiamandoli “infame progenie” (infame progenie) ; Huszti nel suo manoscritto della prima metà del Settecento li ricordava assieme a tedeschi, magiari, romeni, armeni, ebrei, greci e vari popoli slavi ; Fridvaldszky (1767 : 8) parla di otto nationes, fra cui la “grande feccia degli zingari” (magnam Zingarorum colluviem) ; Benkő (1778) li includerà fra le undici nationes toleratae (cioè non egemoni, quali gli ungeresi, i siculi o sekleri e i sassoni) ; Griselini (1780b) individuerà dieci nazioni nel Banato, fra cui gli zingari ; ecc. In termini contemporanei, si potrebbe allora dire che la politica austro-asburgica sposa totalmente (nei termini della struttura sociale del tempo) un approccio distributivo a danno di un approccio del riconoscimento : nel momento in cui stanno emergendo altre nazionalità, come quella slovacca, e resta sempre attiva quella ungherese, gli zingari devono invece scomparire come popolo/nazione, sia come entità giuridicamente semi-riconosciuta attraverso l’esercizio dei voivodi, sia come gruppo culturalmente identificabile. Al contempo devono diventare buoni sudditi in qualità di contadini, servi, minatori o, ma con più circospezione, artigiani, musicanti e soldati.

Il tutto avveniva nella scia delle più generali riforme teresiane, come pure nella scia delle resistenze a quelle riforme. Così, l’arruolamento militare obbligatorio previsto nel decreto del 1761 intendeva integrare gli zingari nell’ambito della riforma dell’esercito che, iniziata fin dal 1749, prevedeva un numero stabile di effettivi che poteva arrivare a 200.000 uomini, a cui tutti i regni dell’impero dovevano contribuire (Crankshaw 1982 : 177-180). Ma pare che in realtà tanti comandanti accettassero solo un numero limitato di zingari (uno zingaro su otto ungheresi), come specifica Mayerhofer (1987 : 24). Il ritratto elogiativo dello zingaro soldato che dà ab Hortis nel suo testo, e che sarà a suo modo ripreso in un passo famoso da Herder (1792 : 50), deriva evidentemente dall’alone di ambiguità che circondava la figura dello zingaro stesso, che come militare poteva dimostrare impegno e perspicacia, ma come zingaro restava inaffidabile e irrazionale. Pochi anni dopo (probabilmente intorno all’anno 1800) Ioan Budai-Deleanu, del Comitato di Hunedoara/Eisenmarkt/Hunyad, scriverà un poema eroi-comico immortale, Ţiganiada, i cui protagonisti sono un’armata brancaleone di zingari che ricordano l’armata zingara pasticciona derisa dal gesuita Turóczi (1768 : 265), citato da ab Hortis. Resta il fatto che gli zingari erano arruolati nell’esercito anche in caso di guerra : sarà un rom transilvano arruolato fra le truppe asburgiche di stanza a Bologna, in una delle fasi della guerra antinapoleonica, che tra il 1799 e il 1800 detterà a Giuseppe Mezzofanti il primo dizionario di romanes mai raccolto in Italia (Piasere 2006 : 219-225).

Anche la soppressione della carica dei voivodi zingari (voivoda, vaivoda, vajda) del 1767 era in sintonia con le più ampie riforme. Giusto l’anno prima era apparso il Codex Theresianus e giusto l’anno dopo apparirà la Constitutio Criminalis Theresiana, due elaborati testi giuridici di diritto privato e di diritto penale che cercavano di eliminare il particolarismo giuridico in vigore nei vari territori dell’Impero asburgico. Lo scopo era sempre quello della costruzione di uno stato vieppiù centralizzato che cancellasse le eterogeneità interne. L’abolizione della figura dei voivodi zingari rientra in questa politica. È da pensare che se viene emanato un decreto ad hoc su tale argomento, l’istituzione del voivoda fosse una cosa seria. Abituati alle dicerie sui “re” e “regine” degli zingari, in Occidente si è da tempo instaurata una narrativa che tende a screditarne la presenza. Oggi sappiamo che forme articolate di leadership, miranti al controllo delle relazioni interne e delle relazioni con i non zingari e con le autorità di costoro, sono state una costante delle comunità rom dell’Europa orientale e balcanica per tutta l’era moderna e in certi casi fino al Novecento. Si tratta di cariche a volte volute dalle autorità non zingare, altre dagli zingari, altre da entrambi, il cui studio resta da approfondire dal momento che le ritroviamo in contesti sociali e storici molto diversi, fra comunità zingare in stato di schiavitù, altre in stato di servitù o semi-servitù, altre ancora in condizioni di chiara libertà [43]. Benkő (1778 : 164, 557) spiegherà che il termine waywoda un tempo veniva usato per il principe di Transilvania soggetto al re d’Ungheria, ma in seguito perse valore e nel Seicento era usato per cariche minori come i comandanti dei presidi militari. Considerato un titolo del tutto deprezzato (titulus vilissimus), ai suoi tempi non era più in uso ma impiegato solo per denotare i capi zingari raccoglitori d’imposte. Töppelt, con derisione, parla della carica elettiva di capi uomini e donne (duces e ducissas) riservata ad alcune famiglie zingare vayvodales (Toppeltinus 1667 : 58).

Ab Hortis (1776 : 102-104) non solo segnala che la disposizione del 1767 cancella un’istituzione che in Ungheria era stata accettata dai regnanti fin dal XV secolo, ma fornisce anche una descrizione dei voivodi zingari basandosi su un anonimo poemetto intitolato Tzigányokról való Historia (Storia degli zingari), fornitogli da un suo corrispondente di Debrezen/Debrezin. Il poemetto, stampato probabilmente nel Settecento ma senza data, è elogiativo verso gli zingari, che in un verso sono chiamati “popolo nobile” (nemes nép), ed è evidente che l’autore ne ha una conoscenza diretta, visto che compaiono alcuni termini in romanes. Ci informa che prima della loro soppressione l’Ungheria era divisa in quelli che potremmo chiamare quattro “voivodati zingari”, la cui geografia rispettava grosso modo le usuali suddivisioni regionali in vigore, che distinguevano i Comitati a destra del Danubio da quelli alla sua sinistra, i Comitati a destra del Tibisco da quelli alla sua sinistra (i Comitati del Banato e della Transilvania erano considerati a parte). I quattro voivodi abitavano a Győr/Raab (a destra del Danubio, oggi in Ungheria), Levice/Lewenz/Leva (a sinistra del Danubio, oggi in Slovacchia), Košice/Kaschau/Kossa (a destra del Tibisco, oggi in Slovacchia) e Satu Mare/Sathmar/Szathmar (a sinistra del Tibisco, oggi in Romania). Se nella carta geografica congiungiamo le quattro città con una linea immaginaria, vediamo che esse costituivano i vertici di un quadrilatero che occupava il centro dell’Ungheria di allora (lungo tutto il confine tra le attuali Ungheria e Slovacchia) ; si trattava di una posizione indubbiamente strategica, sia per il reclutamento di soldati in caso di bisogno, sia per controllare le entrate fiscali degli zingari che vi abitavano, la cui raccolta era uno dei compiti più importanti dei voivodi. In base ad una coscrizione del 1780 (attuata in base allo stesso decreto del 1767), nei Comitati dei quattro “voivodati”, risultano presenti complessivamente 28.112 zingari, così suddivisi : 5.744 a sinistra del Danubio, 9.876 a destra del Danubio, 6.930 a destra del Tibisco, 5.562 a sinistra del Tibisco (Schwicker 1883 : 87).

Nel 1774 in Austria e Boemia viene istituita la Allgemeine Schulordnung (Regolamento Scolastico Generale) che viene allargata nel 1777 all’Ungheria attraverso il decreto Ratio Educationis, alla cui preparazione un ruolo importante ebbe anche Kollár : è la famosa riforma scolastica di Maria Teresa, che istituisce le scuole elementari e l’obbligo scolastico. È all’interno della riforma educativa che va letto anche il decreto del 1773 sulla famiglia e l’infanzia zingara, dove è ancor più evidente che il sistema generale delle riforme teresiane diventava uno strumento a tappe per la deziganizzazione totale dell’Ungheria. Non è chiaro, comunque, fino a che punto l’obbligo scolastico sancito nel 1774 riguardasse anche gli zingarelli che secondo il decreto del 1773 erano semmai obbligati ad imparare un mestiere. Lo stesso ab Hortis spiega che i matrimoni “misti” tra gli zingari e non zingari non erano un problema in diverse regioni, ma ora i governanti li imponevano nel momento in cui vietavano quelli tra zingari stessi. Ab Hortis (1775 : 304) è forse il primo autore a dichiarare di non credere alla diffusa credenza che gli zingari rapiscano bambini, ma è al contempo il primo a descrivere i rapimenti di zingarelli operati dalle autorità stesse in base al decreto del 1773, è il primo che descrive la distruzione delle famiglie, è il primo che parla delle fughe dei bambini nel tentativo di ricongiungersi con i genitori. Sappiamo che nel 1774 venne emanata una disposizione perché gli zingarelli fuggiti dalle famiglie non zingare affidatarie venissero subito denunciati, ripresi e puniti (Mayerhofer 1987 : 26-27). Giuseppe II intensificò tale politica che, a differenza di altri provvedimenti, non restò lettera morta : Claudia Mayerhofer riferisce che negli archivi austriaci esistono rendiconti precisi per gli anni dal 1774 al 1786, che indicano nomi e numeri delle decine di bambini sottratti agli zingari nella regione del Burgenland (oggi divisa tra Austria e Ungheria). Tanti bambini non tornarono più e rimasero servi alle dipendenze dei loro padroni affidatari, subirono istruzione e catechismo obbligatori da parte dei parroci cattolici. Là dove il decreto fu applicato, funzionò.

Le ultime pagine del testo di ab Hortis sono la sineddoche dell’ambiguità di tutto il suo lavoro. Egli riporta episodi di cronaca tratti dal Wienerisches Diarium che descrivono come i bambini zingari venissero rapiti manu militari alle loro famiglie nella regione di Bratislava/Pressburg/Pozsony. Una notizia del 2 marzo 1774 diceva specificatamente :

Da Fahlendorf [44]nello Schütt [45] si annuncia che da lì e da Hideghid [46], tra le 5 e le 6 del giorno 24 del mese scorso [febbraio], sono stati di nuovo portati via i bambini degli zingari, quelli che dal 24 dicembre dello scorso anno [47] avevano raggiunto l’età prevista. Come i precedenti [portati via il 21 dicembre] ricevono un’educazione adeguata che gradualmente cancella la loro selvatichezza (Wildheit). Fra i precedenti vi era anche una ragazza di quattordici anni che si doveva sposare, portata via in abito da nozze. Per disperazione o rabbia si strappava i capelli e continuava a dare in escandescenze : ma oggi è di nuovo contenta perché ha avuto il consenso di potersi sposare a carnevale (Wienerisches Diarium, 2 marzo 1774, p. 5) [48].

Questa citazione, divulgata poi da Grellmann e dai suoi continuatori, fu ampiamente ripresa per tutto l’Ottocento [49]. La crudezza dei resoconti faceva da contraltare al filantropismo delle intenzioni. L’autore senza dubbio appoggia la politica verso gli zingari, che “renderà eterna e immortale la nostra grande e veneratissima Teresa” [50], ma la citazione di quelle cronache giornalistiche potrebbe essere letta come una velata critica da parte del pastore luterano alla sovrana cattolica sulle modalità di attuazione della “riforma” ? Fino a che punto ha influito il timore di attirare l’attenzione della Zensurkommission istituita dall’Imperatrice e molto attiva in quegli anni (Bachleitner 2018) ?

Conclusione : “Notizie varie

Non è molto ironico constatare che gli “zingari moderni” comincino a prendere forma nel momento in cui una potenza imperiale vuole completamente annullarli, non più fisicamente ma linguisticamente e culturalmente. Invano troveremmo nei giuristi e teologi pre-ziganologi dei secoli precedenti l’ampiezza descrittiva inaugurata da ab Hortis : la politica delle espulsioni non ispirava gli eruditi ad approfondirne la conoscenza, mentre gli sforzi per “civilizzarli” abbisognavano di informazioni, in cui l’umanitarismo fa in qualche modo da filtro : Ab Hortis vede l’uomo dentro lo zingaro, e quell’uomo, come tutti gli uomini, è perfettibile, proprio togliendogli la corazza da zingaro che lo ricopre. Quella corazza è potente e per levarla c’è bisogno di un mezzo altrettanto potente : l’educazione. Ma l’efficacia educativa ha bisogno di conoscenze.

Vermeulen (2015 : 28), affronta il classico tema dei rapporti tra antropologia e colonialismo parlando della nascita dell’etnografia tedesca del Settecento nel contesto della colonizzazione russa della Siberia, e arriva alla conclusione che l’antropologia non sarebbe nata dal colonialismo, ma si sarebbe sviluppata all’interno del suo contesto. Ad un’analoga conclusione potremmo arrivare noi : la ziganologia non nasce dalle politiche assimilazioniste dei diversi colonialismi interni, ma certo si sviluppa nel momento in cui esse prendono forma e si diffondono in Europa.

Se si ridà un’occhiata all’indice della monografia (v. sopra), vediamo che dopo aver parlato dei nomi dati agli zingari e del problema dell’origine, tutti argomenti tipici della pre-ziganologia, la narrazione cambia di colpo e comincia a descrivere gli zingari, le loro vite e le loro differenze interne, con un occhio particolare alla loro cultura materiale. Oggi siamo abituati a testi descrittivi con la loro sfilza di capitoli sui mestieri, la religione, l’abbigliamento, la musica, la lingua ecc., e possiamo non accorgerci di quanto sia stata rivoluzionaria la monografia di ab Hortis rispetto alle narrazioni precedenti. Le descrizioni di popoli non erano certo una novità, ma l’influsso dell’ethnographie/ethnologia di Schlözer/Kollár ci sembra evidente. Egli sembra ben conoscere il Vorstellung seiner Universal-Historie del primo [51], e inoltre è ben immerso nell’ambiente del secondo. Non è un caso che si cominci parlando dell’educazione, perché l’educazione è sovrana, da essa tutto dipende. Nel caso degli zingari, non è che essi non abbiamo un loro tipo di educazione, il problema per ab Hortis è che hanno un pessimo sistema educativo e che la loro educazione sregolata influenza tutti gli ambiti delle loro vite. Ab Hortis non perora un ritorno alla natura perché qui la via rousseauiana all’educazione prende una strana torsione : lo zingarello nasce capace in tante attività se non in tutte, la società zingara lo cambia e lo rende cattivo, quindi spetta sì all’educazione, ma a quella dei non zingari, riportarlo alla bontà e all’utilità, che guarda caso è quella della loro società.

Un’apertura “etnologica” si era avuta nelle Anzeigen proprio nel 1775 : da febbraio a giugno esce un lungo saggio intitolato Die verschiedenen Gebräuche fremder Völker, bey ihren Verheurathungen (I vari usi dei popoli stranieri nei loro matrimoni) [52]. Si tratta di una rassegna sulle cerimonie e modalità di matrimonio di popolazioni essenzialmente dell’Asia e dell’Africa : esso spazia dalla Russia (russi, cosacchi, mordvini, calmucchi, ecc.) alla Kamtchatka, dai territori turco-mongoli all’India, dal Vicino all’Estremo Oriente, per passare ad un certo punto alla Guinea africana, la Costa d’Oro e degli Schiavi, fino al Congo e agli Ottentotti. È un quadro basato essenzialmente sulle descrizioni di viaggiatori che, se si stacca dai temi consueti, locali e ungarocentrici delle Anzeigen, è al contempo significativo dell’afflato comparativo che lo sottende. È curioso constatare che nel giornale lo studio si accavalla solo per pochi numeri con quello di ab Hortis, e questo sembra quasi che lo sostituisca come una sorta di continuazione con una virata locale : tra le storie degli ungheresi e i matrimoni dei lontani popoli vi sono gli zingari. Notiamo che le prime puntate dello studio sono rubricate nella sezione dedicata alla “Storia” (Geschichte), mentre dalla settima puntata entra stabilmente nelle “Notizie varie” (Vermischte Nachrichten). Lo segnalo per sottolineare che le puntate dello studio di ab Hortis non hanno mai fatto parte della “Storia”, ma sempre e solo delle “Notizie varie”. Se il direttore delle Anzeigen poteva essere incerto se collocare i popoli stranieri nella storia, era sicuro invece di potervi escludere gli zingari : benché spesso ab Hortis citi fatti storici avvenuti in Ungheria, che gli zingari facciano parte della storia dell’Ungheria sembra dell’ordine dell’impensabile !

Eppure, anche per questo popolo non contemplato nella Storia tutto deriva dall’educazione più che dalla natura, e l’educazione di cui ha bisogno per deziganizzarsi è, ovviamente, quella dei non zingari. Di costoro non si parla mai, ma si capisce che sono la pietra di paragone implicita, che sono il mondo educato contrapposto al loro mondo maleducato. Ora, ci sarà efficacia educativa verso gli zingari solo spezzando i legami tra genitori e figli : solo in questo modo si valorizzeranno le capacità che gli zingari già hanno ma che usano male (nell’artigianato, nella lavorazione dei metalli, nella cura dei cavalli, nella musica...), si sradichernno i loro vizi (la pigrizia, l’orgoglio, il parassitismo...), si insegnerà loro a mangiare meglio, a stare a tavola come si deve, a vestirsi in modo decente, a parlare meglio, ad esempio correggendo la loro lingua sgradevole con tutte quelle aspirate (/ph/ e /th/) che egli individua così bene (1775 : 96). Ciò li aiuterà anche ad uscire dalla loro miseria perché la possibilità di migliorarli esiste : sono bravi fabbri, ma sono costretti a lavorare con ferro scadente ; hanno l’inclinazione alle scienze, ma manca loro la motivazione. Gli stati non devono cacciare gli zingari, come diceva Muratori, il gesuita pure illuminato, perché ciò non risolve il problema : bisogna accoglierli ed educarli, cancellarli come zingari per preservarli come sudditi. L’educazione è tanto potente nella mente di ab Hortis che essa è in grado di cambiare il loro aspetto ; così, anche il colore della pelle sembra dipendere dal modo di vita, e donne non zingare sposate con zingari lo provano : dopo il matrimonio cambiano il colorito e diventano identiche alla Zigeunergeschlecht, alla stirpe zingara (1775 : 352).

Ab Hortis è in controtendenza in questo campo : contraddice espressamente gli autori precedenti, come Töppelt, gesuita per nulla illuminato ; egli parla bene del corpo degli zingari, non li definisce deformes come tanti avevano fatto. E quel loro corpo già bello può diventare ancor più armonioso se tolto da una sporcizia che annerisce. A modo suo ab Hortis contribuisce a consolidare il mito del corpo zingaro sano, forte, resistente alle intemperie più dure, un mito che solo in questi ultimi decenni postmoderni è stato sostituito dal contro-mito di un corpo zingaro malato, da bidonville del quarto mondo, inquinato. Se pensiamo che solo qualche anno dopo Kant (1788) porterà come esempio proprio gli zingari per provare l’immodificabilità del colore della pelle e quindi per provare l’esistenza delle razze (Hund 2011 ; Piasere 2018) [53], possiamo capire come ab Hortis si ponga, lui naturalista, lontano dalla nascente razziologia scientifica. Vicino al pietismo e al filantropismo pedagogico, questo dotto di provincia non si mette in posizione critica verso lo stesso Illuminismo, tanto da vedere negli zingari i rivoluzionari suggeritori di un possibile “altro Illuminismo” come farà pochi anni dopo Christian Jakob Kraus, l’enigmatico collega di Kant [54]. Possiamo solo dire che le informazioni accumulate da ab Hortis, aggiunte a quelle che cominceranno qualche anno dopo ad arrivare sugli Zigans/Zigeuner dei principati romeni (Carra 1781 : 272-273 ; Sulzer 1781:136-147) e a quelle raccolte da Kraus e pubblicate da Biester (1793) sui Sinti della Prussia orientale, potevano fornire già alla fine del Settecento lo slancio per un’altra ziganologia, più comparativa e dai confini sfumati, più sensibile a rimettere in causa la propria ermeneutica, una possibilità che Grellmann con le sue generalizzazioni abusive aveva soffocato sul nascere.

Ma a mio avviso sarebbe un errore porre ab Hortis fra i fondatori di una ziganologia teleologicamente votata fin dall’inizio al razzismo biologico, come qualche autore ha fatto nei riguardi di Grellmann. L’antropologia biologica toccherà la ziganologia già a partire da Blumenbach, ma la razziologia comincerà a intaccarla a fondo solo da metà Ottocento (Piasere 2019a). Concordo con Ilsen About (2018 : 673) quando mette in guardia dal vedere sempre gli studi etnografici dell’Ottocento “comme une étape préliminaire aux études d’anthropologie raciale du premier xxe siècle”. Lo stesso vale per ab Hortis e per quegli studi del Settecento che, più che coi nascenti culturalismo di Herder e razzismo di Kant, ragionavano ancora molto con le cornici intellettuali dei giusnaturalisti alla Pufendorf, che ammettevano che potessero esistere società senza stato : solo che ora, in pieno assolutismo e in piena Europa, non si poteva tollerare che tali società esistessero all’interno degli stati stessi. Il processo illuminato di “civilizzazione” degli zingari era iniziato e aveva bisogno (ma senza eccessi) di legittimazioni intellettuali e di mediatori cognitivi : Samuel Augustini ab Hortis e la rete degli Anzeigen che lo sostiene ne sono i primi, ancora imperfetti e incompleti, interpreti. In attesa dello sviluppo dell’Ethnologia/Völkerkunde e delle altre “scienze dell’uomo”, in attesa degli slanci romantici e razziologici che marcheranno la ziganologia ottocentesca, questa monografia etnografica semi-collettiva finisce fra le “Notizie varie”, la cui lettura un lettore dell’Ungheria tedescofona può scorrere in modo distratto, o anche saltare.

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[2Cfr. Pott (1844 e 1845).

[3Da buon orientalista, Burton (1898) si interessava anche degli zingari. Sui fondatori e la fondazione della Gypsy Lore Society v. Fraser (1990a).

[4Più di un secolo dopo, giusto parlando di orchestrine zigane ungheresi, Patrick Williams (1996 : 15) spiegherà l’evoluzione delle due grafie : “Nous avons écrit ‘Tsiganes’ pour les individus réels, ‘Tziganes’, lorsqu’il était question de l’imagerie”.

[5I termini italiano e tedesco sono un prestito dal francese e possono subirne la doppia grafia. Nella prima occorrenza in italiano (Colocci 1911), il termine è trascritto sia come tsiganologia che come tziganologia. Oggi la grafia si è normalizzata in ziganologia, mentre raro è zingarologia, derivato dal ben più usato zingari.

[6Altrove (Piasere 2006 : 75-77) ho proposto di mantenere “ziganologia” per indicare lo studio dell’immaginario letterario, artistico, folklorico ecc. che ha creato gli “zingari”, e “romologia” l’insieme degli studi che cercano di essere “scientifici” secondo i canoni delle varie discipline, sviluppando al contempo una sensibilità ermeneutico-riflessiva di base. Il confine tra le due aree è difficilmente individuabile, ma deve restare la consapevolezza che l’influenza vicendevole dell’una sull’altra è essa stessa oggetto di attenzione.

[7Negli ultimi decenni Grellmann è caduto dalle stelle alle stalle e da Martins-Heuss (1983) in poi le letture critiche verso la sua opera sono in costante aumento ; qui mi limito a rimandare a Ruch (1986), Breger (1995), Willems (1997 : 22-92), Suciu (2008), Asséo (2016) ; su Predari, v. Piasere (2011 : 123-140).

[8V. su questo anche Willems (1997 : 66), che inquadra la figura di Büttner nell’ambito dell’Illuminismo tedesco. La teoria della derivazione afgana degli zingari sarà ripresa nell’Ottocento in particolare dal linguista Graziadio Isaia Ascoli (1865).

[9Per decenni è intercorsa una disputa su chi sia stato il primo scopritore dell’“origine indiana” dei rom, ed è in tale disputa che prendeva importanza la testimonianza di ab Hortis su Stefan Vali (v. sotto) ; sui personaggi implicati in quella matassa difficile da sciogliere v. fra gli altri Piasere (1989 : 119-120, 2006 : 47-50) ; Willems (1997 : 79-82) ; Matras (1999), Asséo (2016).

[10Segnalo en passant che lo stesso Jones confermerà l’origine sanscrita di molti termini del vocabolario di Grellmann ; collegando poi gli zingari alla “barbarous and piratical nation” dei Sanganians delle coste del nord-ovest dell’India e ottemperando al contempo alla più classica teoria dell’origine egiziana, anche Jones farà la sua proposta : “the Gypsies […] might, in some piratical expedition, have landed on the coast of Arabia or Africa, whence they might have rambled to Egypt, and at length have migrated, or been driven into Europe” (1799 : 7).

[11Willems (1997 : 89) comunica d’aver saputo dell’esistenza dello studio di Urbancová quando il suo era già terminato e grazie ad una segnalazione di Han Vermeulen.

[12Per facilitare la lettura, riporto qui di seguito i nomi geografici nella loro attuale versione slovacca (o romena per le località della Transilvania), seguita da quello tedesca, da quella ungherese e, quando è il caso, da quella latina, ma teniamo presente che nei testi che ci interessano Augustini ab Hortis usa sempre il nome tedesco.

[13Per le notizie biografiche su Samuel Augustini ab Hortis, la fonte principale è Melzer (s.d. [1832] : 189-191) ; v. anche de Luca (1776 : 205) ; Bermann (1852 : 347) ; Urbancová (1994) ; Lucassen (1997 : 63-64) ; Deáky e Nagy (2009).

[14Citiamo il nome come appare nelle diverse pubblicazioni, che può essere Abhortis, ab Hortis, Augustin. La forma completa, Augustini ab Hortis, è data solo dai biografi.

[15Sull’importanza degli studi di Christian Augustini e di Czirbesz su tale argomento, v. Parisky (1971a, 1971b).

[16Gli articoli di mineralogia sono firmati “ab H.” (in caratteri latini), qualche volta “v. H.” (in caratteri gotici) e qualche volta sono anonimi, ma, essendo spesso indicati come la continuazione l’uno dell’altro, sembra credibile che siano attribuibili allo stesso autore (dell’annata 1773 delle Anzeigen v. pp. 27-30, 46-48, 62-64, 81-85, 99-103, 125-126, 149-151, 172-174, 183-184, 191-192, 199-200, 206-208, 238-240, 247-248). Gli articoli di storia sono firmati solo “v. H.” e sull’identificazione dell’autore possono restare dubbi (dell’annata 1772 v. pp. 147-151, 366-368). Considerato il modo in cui si firma nelle Anzeigen, d’ora in poi mi riferirò all’autore semplicemente con ab Hortis.

[17Ciascuno firmato “ab H.” ; dell’annata 1774 v. pp. 43-46, 110-111, 172-174.

[18Anzeigen 1775, pp. 9-12, 18, 21, 28, 31, 35-37, 46-48, 54-56, 61-64, 68-72. La specificazione “in Ungheria” appare spesso nei titoli degli articoli di ab Hortis, che evidentemente non voleva che si generalizzassero le sue informazioni.

[19Anzeigen 1775, pp. 97-101, 107-109.

[20V. Augustini ab Hortis (1775 e 1776).

[21Proprio perché stretto collaboratore di Schlözer, a sua volta in contatto con Kollár, sembra improbabile che Grellmann non abbia cercato di informarsi sul nome dell’autore degli articoli delle Anzeigen, e può restare il dubbio che lo conoscesse senza averlo voluto citare.

[22Grellmann non usa invece il termine Ethnographie, che nella ziganologia ritrovo per la prima volta in von Heister (1842) e in Pott (1844), ma non ho fatto una ricerca sistematica.

[23Urbancová (1994 : 5, 92) fornisce i dati da un censimento del 1770 riguardanti alcuni Comitati che coprivano l’attuale Slovacchia, nei quali sarebbero stati presenti 18-20.000 zingari : Bratislava 2.500, Nitra 2.000, Gemer 1.800, Šariš 1.500, Trenčín 600, Turiec 100. Nel Comitato dello Spiš risultavano solo 500 zingari, il che può suggerire che non fu una loro alta presenza a suggerire ad ab Hortis di intraprendere il suo studio, visto che gli zingari erano concentrati in altri Comitati.

[24Il Principato di Transilvania (Fürstentum Siebenbürgen/Erdélyi Fejedelemség/Principatus Transsilvaniae), dal 1765 Grande Principato, faceva parte del Regno d’Ungheria, ma ab Hortis distingue puntualmente la Transilvania dal resto del Regno.

[25Preferisco dare questa etichetta a quella che Gronemeyer (1984) chiama proto-ziganologia.

[26Ad esempio, solo nel contesto italiano sono stati repertoriati poco meno di cento trattatisti (con esclusione delle opere di letteratura) che parlano degli zingari nel periodo che va dal 1450 al 1750 ; cfr. Campigotto et al. (2020).

[27Sul passo di Münster rimando a Campigotto et al. 2020 : 122-128).

[28Sul confronto fra i due autori v. Gronemeyer (1984) ; su Thomasius v. anche Solla (2018).

[29Il quale pure scriverà nel 1679 (pubblicata nel 1731) una Tractatio iuridica sui vagabondi, dove troveranno posto anche gli zingari (v. Ch. Thomasius 1731).

[30Non è molto noto fra gli antropologi che la prima ricerca sul campo fatta da Fredrik Barth (1955) riguardò un gruppo ancora chiamato Tatarer nella Norvegia del Novecento.

[31Cito dalla cronaca riportata da Gronemeyer (1987 : 15-17), che riproduce anche copia fotostatica del manoscritto.

[32Egli aveva già fatto conoscere a Fridvaldszky (1767 : 33-35) un lasciapassare rilasciato nel 1496 da Vladislao II re d’Ungheria a Thomas Polgar, voivoda degli zingari (Wajvodam Pharaonum) e la sua comitiva di venticinque tende, considerata l’utilità del loro lavoro di fabbri. Il documento è riportato interamente anche da ab Hortis (1775 : 224) ; citato poi da Grellmann (1783 : 61), questo documento è entrato stabilmente nella storia europea degli zingari.

[33Su Bodin e gli zingari v. Melani (2011) ; su Botero v. Campigotto et al. (2020 : 162-167).

[34Un anno prima ab Hortis (1775 : 182), dando credito ad un’informazione di Kelp (Kelpius 1684, cap. II, § 14), aveva scritto che gli zingari nella loro lingua si dicono Morre, un termine non chiaro, repertoriato in qualche dialetto rom dell’Ottocento come “compagno, amico” (Pott 1844 : 48).

[35Per la biografia di András Huszti, v. Kovács (2005 : 33-42) e bibliografia ivi indicata.

[36In altre opere Pray ammetteva di servirsi dei manoscritti di Huszti che diceva di apprezzare ; v. fra gli altri Horányus (1776 : 188),

[37Si tratta del Vocabularium Zingarico-Latinum et Hungaricum. Quod fieri fecit, curiositatis caussa, Michael Pap Szathmári. Per Michaëlem Farkas, alias Vistai natum Zingarum. Collegii nostri, per aliquot annos civem togatum, di cui si servirà Bergszászi (1796) per i suoi confronti comparativi ; sarà pubblicato solo agli inizi del Duemila, ma non in edizione critica, depurato da romenismi e magiarismi e solo in un registro romanes-inglese (cfr. Vekerdi 2006).

[38Per questi aspetti, su Vulcanius e il suo studio rimando a Piasere (2014).

[39Sulla cronaca di Bologna del 1422 v. Piasere (2011 : 41-66) ; su Muratori e gli zingari v. Campigotto et al. (2020 : 25-34, 335-343).

[40Pott (1844 : 63), “the facile princeps of all Gypsologists” che già conosciamo, che prendeva Bräschen da Grellmann (1787 : 165) ma che riscriveva come Braeschen, aveva sospettato che si dovesse trattare di una cattiva trascrizione. Possiamo pensare infatti che lo stesso ab Hortis abbia trasformato in Bräschen i Baeschen di cui informava un suo corrispondente tedescofono.

[41Griselini pubblicò le sue osservazioni in diverse sedi anche a Vienna in tedesco, ma il resoconto forse più completo è quello in italiano (1780a : 194-212 ; 1780b : 161-179), importante appunto per la descrizione delle case interrate, di cui accennavano anche Fridvaldszky e von Born.

[42Un primo tentativo di spiccata politica assimilazionista fu in verità condotto nello Stato della Chiesa nel 1631 con la disposizione Sopra la reduttione de’ zingari e zingare al ben vivere, a cui seguì una prima giustificazione teologico-politica da parte di Antonio Ricciulli nel 1641. Costui, in uno spirito controriformistico, proponeva l’accoglienza degli zingari nella città cristiana a certe condizioni e con molte limitazioni (v. Piasere 2006 : 131-139 ; Campigotto et al. 2020 : 257-266). Non è escluso che la cattolicissima Maria Teresa si sia ispirata anche a quel tentativo romano.

[43Per la Polonia storica v. Mróz (2001) e per il Novecento v. Kaminski (1987) ; per la Valacchia e Moldavia storiche v. Achim (1998 : 58-64) ; per la Transilvania Wlisłocki (1890) e Jacobs (2007).

[44Cioè Tomášov/Feilendorf/Fél.

[45Si tratta dello Žitný ostrov/Große Schütt/Csallóköz, la grande isola fluviale formata dal Danubio e il Piccolo Danubio, oggi nella Slovacchia sud-occidentale, a est di Bratislava.

[46Oggi Studené, nei pressi di Most pri Bratislave/Bruck/Dunahidas, nella stessa isola.

[47In realtà la precedente notizia, data nel Wienerisches Diarium del 29 dicembre 1773, p. 5, si riferisce al 21 dicembre.

[48Questo il passo originale del Wienerisches Diarium (metto fra parentesi quadre i ritocchi apportati da ab Hortis, 1776 : 159-160) : “Aus Fahlendorf in der Schütt wird gemeldet, dass allda und in Hideghid, am 24. v[origen] M[onats] frühe zwischen 5. und 6. Uhr, die Kinder der Zigeuner, die seit den [dem] 24. Christm[onat] wiederum was [waren] herangewachsen, aus neue wieder abgeführet wurden. Sie bekommen gleich den erstern[e]n eine ordentliche Erziehung, wodurch ihnen die angebohrne Wildheit nach und nach benommen wird. Unter den vorjährigen [Vorigen] befand sich eine 14 jährige Tochter, die sich in ihrem Brautstande fortführen lassen musste. Aus Wehmuth oder Zorn raufte sie ich die Haare aus, und veränderte ununterbrochen ihre Gebärden : itzo [jetzo] aber ist sie wieder in ihrer Zufriedenheit, weil sie schon im Fasching die Erlaubniss erhielt, ihre Heyrath [Heirath] vollziehen zu dürfen”.

[49Emmeline Raymond (1859:5), una viaggiatrice francese che visita l’Ungheria ottant’anni dopo, scrive che gli zingari ricordavano ancora quei momenti in questi termini : “Des charrettes escortées par des piquets de soldats apparurent simultanément sur tous les points de la Hongrie où se trouvaient les Zigains ; on enleva tous les enfants, depuis ceux qu’on venait de sevrer jusqu’aux jeunes mariés encore vêtus de leurs habits de noce ; le désespoir de cette malheureuse population ne se peut décrire ; les parents se traînaient à terre devant les soldats, se cramponnaient aux voitures qui emportaient leurs enfants.... Repoussés à coups de bâton et de crosse de fusil ; ne pouvant suivre les chariots sur lesquels on avait entassé pêle-mêle ce qu’ils ont de plus cher au monde, - leurs enfants - quelques-uns se suicidèrent immédiatement”. Difficile dire se sia successo così, ma questi furono i toni delle narrazioni.

[50Con questa apoteosi termina la monografia : “wird unsere Große und verehrungswürdigste Theresia verewigen und unsterblich machen”, dove i caratteri in corpo maggiore riservati all’Imperatrice sovrastano graficamente nella pagina, e quasi nascondono, il tanto atteso “ab H.” (1776 : 160) !

[51Egli cita (1775 : 204-205) un capitolo sui mongoli di Schlözer (1772 : 212-221) per supportare la sua teoria dell’origine tartara degli zingari : vede una correlazione tra il nome dsongari (i.e. i mongoli zungari) e il latino/italiano zingari, così come tra il nome Cinghis (Gengis Kan) e Zindelo (un capo zingaro di cui parla una cronaca tedesca del 1439) ; ecc.

[52Pur annunciata la continuazaione, lo studio si interrompe alla quindicesima puntata senza la consueta firma con l’iniziale dell’autore.

[53Sulla presenza degli zingari in diverse opere di Kant v. soprattutto Röttgers (1997).

[54Su questo filosofo che non pubblicò mai nulla a proprio nome sui sinti della Prussia orientale, fra cui fece delle ricerche nel 1784, v. Röttgers (1997, 2018), Tauber (2014).