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International Encyclopaedia
of the Histories of Anthropology

“An act of charity to one’s homeland”: Giuseppe Pitrè, Salvatore Salomone Marino e i recenti studi anglofoni sull’Italia

Francesco Faeta

Università degli Studi di Messina
Università La Sapienza di Roma

2022
To cite this article

Faeta, Francesco, 2022. “‘An act of charity to one’s homeland’: Giuseppe Pitrè, Salvatore Salomone Marino e i recenti studi anglofoni sull’Italia ”, in BEROSE International Encyclopaedia of the Histories of Anthropology, Paris.

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Published as part of the research theme «History of Italian Anthropology», directed by Giordana Charuty (EPHE, IIAC).

Giuseppe Pitrè (1841-1916) e Salvatore Salomone Marino (1847-1916), studiosi siciliani di diverso livello ma di analoga passione civile, uniti da una diuturna vicenda di collaborazione scientifica, entrambe medici, sono unanimemente considerati due dei padri fondatori della corrente demologica dell’antropologia italiana. Specialmente il primo, palermitano, con la sua indefessa attività di raccoglitore di quanto apparteneva, a vario titolo, alla vicenda delle classi popolari dell’isola, con la sua attenzione per la cultura materiale e per la museografia, con le sue realizzazioni editoriali tra le quali si distinse la monumentale Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane in 25 volumi, pubblicata tra il 1871 e il 1913, con le sue ampie e riconosciute relazioni internazionali, con la sua autorevolezza e il suo prestigio politico, s’impose come una delle figure chiave del panorama scientifico italiano nella seconda metà del XIX secolo e nei primi lustri del Novecento.

La vasta notorietà dei due studiosi – e in particolare di Pitrè - fa sì che sia assai difficile individuare porzioni, sia pur minime, trascurate (o non sufficientemente rischiarate) del loro complesso lavoro. Lo studio sin qui compiuto, particolarmente ma non soltanto in Italia, è ragguardevole e si articola in un complesso e minuzioso lavoro di scavo filologico, effettuato da numerosissimi studiosi di varia levatura (penso a Carmelina Naselli, Aurelio Rigoli, Amedeo Benedetti, Pasqualina Manzo) ma, soprattutto, in un preciso rilievo storico-critico relativo alle loro figure e alle loro opere, condotto da ricercatori che hanno impresso agli studi di demologia direzioni innovative, quali Giuseppe Cocchiara (1904-1965), Giuseppe Bonomo (1923-2006), Alberto Mario Cirese (1921-2011), Giovanni Battista Bronzini (1925-2002), Antonino Buttitta (1933-2017), Luigi M. Lombardi Satriani (1936) [1].

In un quadro così saturo d’informazioni e riflessioni tenterò di soffermarmi, sia pur in modo enunciativo, su un aspetto relativamente trascurato dagli studi specifici, quello che riguarda la fortuna che Giuseppe Pitrè e (in minor misura e, in un certo qual modo, di riflesso) Salvatore Salomone Marino hanno avuto nei recenti studi anglofoni dedicati all’Italia e, in particolare, alle relazioni che intercorrono tra costruzioni culturali e sociali del mondo popolare e del Mezzogiorno e formazione dello Stato nazionale. Un filone di indagini dal taglio innovativo (che riguarda l’antropologia culturale e sociale, la storia, i cultural studies e, nello specifico, gli Italian studies), che ha avuto il merito, pur nella varietà delle sue posizioni e dei suoi esiti, di stimolare a rivisitare alcune delle categorie interpretative consolidate della questione nazionale; e di contribuire a reinterpretare, così, aspetti della nostra vicenda moderna e contemporanea, secondo il sempre valido principio d’utilità dello sguardo da lontano.

Dirò subito che più che di fortuna è forse opportuno scrivere di nuova attenzione, un’attenzione che accomuna i due studiosi ai grandi scrittori siciliani coevi, in particolare a Giovanni Verga (ma, com’è noto, parlare di Verga significa fare riferimento implicito o esplicito anche a Pitrè) [2]. L’attenzione per i colleghi siciliani, in realtà, nel mondo dei folkloristi e dei demologi anglosassoni, al momento della loro esistenza, non era mancata, anche se era stata sicuramente inferiore rispetto alla portata del loro lavoro, ma si era andata progressivamente affievolendo. Jack Zipes, studioso su cui tornerò, rileva con rammarico in un suo ampio saggio critico su Pitré, del 2009, che le sue opere, nella prospettiva di una storia internazionale degli studi di folklore, ’are totally neglected in the English-speaking world’ [3].

Se questo può oggi essere vero nel contesto demologico e antropologico, credo che la situazione sia abbastanza diversa allargando lo sguardo su contesti disciplinari contigui, anche se coloro che si sono serviti delle analisi, dei dati, degli scritti degli studiosi italiani tra Ottocento e Novecento (come mera fonte o come strumento ermeneutico), certamente si sono mostrati più inclini a considerare la letteratura di stampo positivistico e di orientamento sociologico e antropologico, piuttosto che quella di stampo romantico e di orientamento filologico-letterario e demologico; più Giuseppe Sergi, Cesare Lombroso, Alfredo Niceforo, insomma, che Pitré e Salomone Marino.

Dopo un lungo periodo d’interesse molto alto, dall’immediato dopoguerra all’inizio gli anni Ottanta dello scorso secolo, la recente antropologia culturale anglofona si occupa più raramente, in realtà, del Mezzogiorno italiano e della Sicilia; e, dunque, anche del loro specifico folklore. In modo simbolico, e senza pretesa alcuna di esattezza filologica, porrei un discrimine per questo interesse attorno alla metà degli anni Settanta, con le opere sulla Sicilia di Anton Blok e di Jane e Peter Schneider, che hanno ben presenti tematiche e referenze legate alla demologia classica isolana, e in particolare a Pitrè [4].

L’antropologia susseguente pone, però, con riferimento a contesti territoriali diversi e più ampi, le basi epistemologiche per una rilettura radicale dei materiali della letteratura e della letteratura folklorica (ma anche delle pratiche demologiche) in chiave di formazione delle realtà nazionali, con particolare riferimento al Nation-State. A volte, nei testi in questione, i nomi di Pitrè e Salomone Marino non sono esplicitamente ricordati, ma viene individuato con chiarezza nel folklore, su scala europea, un imprescindibile elemento di costruzione dell’idea di nazione e dello Stato nazionale, quale elemento fondamentale dell’evoluzione della tarda modernità in Occidente. E nei folkloristi e nei demologi i protagonisti importanti del processo di edificazione delle identità sottese alle formazioni statali in questione. Modernità e post-modernità sono poste in relazione con la cultura popolare e con le sue manipolazioni, attraverso un’attenta esplorazione dei concetti di attualità e tradizione, e delle politiche d’uso culturale, con specifico riguardo al nazionalismo; ciò in diversi contesti europei e, anche, statunitensi. Il folklore viene, in qualche misura, accostato al cultural heritage e alle vestigia del passato per delineare le politiche complesse cui ho fatto cenno. È presente, a livello anglofono, una vastissima letteratura critica che centra la sua attenzione sulle forme abbastanza simili in cui il folklore e i suoi studi tra Ottocento e Novecento hanno sostenuto l’idea nazionale [5], ma faccio indicativamente riferimento a lavori che basano su ricerche di terreno, quali quelli sulla Grecia contemporanea di James Faubion e di Michael Herzfeld, quelli sull’Italia ancora di Herzfeld, quelli sul Quebec di Richard Handler [6].

Certamente l’intuizione del nesso intercorrente tra costruzioni della cultura popolare e formazione dello Stato era già stato espresso in chiari termini teorici nella storiografia disciplinare italiana, soprattutto dopo l’attenta rilettura delle tesi gramsciane iniziata negli anni Settanta. Ma l’antropologia culturale contemporanea ha il merito di sperimentare questo nesso nel vivo della pratica etnografica, delineando concrete connessioni politiche e sociali che erano lasciate, nella nostra speculazione, per lo più, in ombra. E ha il merito di rileggere i materiali folklorici anche nella loro prospettiva di prodotti dell’elaborazione colta, volti a configurare, secondo le logiche politiche dominanti, precisi settori della vita sociale.

Giova ricordare che questa rilettura dei materiali e degli autori demologici in una nuova chiave di significazione è stata sperimentata, sulla scorta delle indicazioni che ho sopra ricordato, anche da qualche significativo autore italiano, sebbene in una prospettiva più attenta alla delineazione dei contesti locali e regionali (siciliani, a esempio) che alla riflessione relativa alla nazione e al nazionalismo.

Più netto e ravvicinato è il riferimento al Mezzogiorno e al folklore (e a Pitrè e Salomone Marino) che, nel quadro della diffusa sensibilità critica prima richiamata, è possibile rinvenire negli studi storici, e negli studi culturali sull’Italia. In una produzione senza dubbio più ampia e articolata, espressa anche in numerosissimi saggi apparsi su riviste internazionali di prestigio, farò qui esemplarmente riferimento ai lavori prevalentemente (ma non esclusivamente) monografici di John Dickie, David Forgacs, Donna R. Gabaccia, Nelson Moe, Linda Reeder, Lucy Riall, Jean Schneider, Krystyna von Henneberg e Albert Russell Ascoli [7].

Negli autori qui ricordati, al di là dei differenti argomenti e temi perseguiti, l’attenzione per le figure e per le opere di Pitrè e Salomone Marino, può essere riassunta nei termini essenziali che proverò a delineare.

Alla Sicilia è assegnata una posizione preminente, pur se specifica, nella costruzione dell’immaginario meridionale moderno (ribadisco che la questione della modernità, in rapporto alle riletture di quanto attiene all’arcaismo e alla tradizione, si pone come centrale all’interno delle più recenti correnti di studio). La Sicilia riassume ed esemplifica il Mezzogiorno, lo rende esplicito, alla comunità nazionale e internazionale.

Al folklore è assegnato il compito di significare la Sicilia, la sua ricchezza culturale e la sua stessa possibilità di relazione con la cultura italiana ed europea, attraverso figure chiave della scena contemporanea. Ma il folklore arcaizza, al contempo, il mondo siciliano e lo inscrive in una dimensione lontana nel tempo così come nello spazio, con significative convergenze con la condizione allocronica individuata da Johannes Fabian, e con quella orientalista delineata, su scala globale, da Edward Said [8].

A Pitrè (e Salomone Marino) è riconosciuto il merito di aver affermato in modo esemplare la centralità del folklore nella costruzione della Sicilia, di averla saputa mettere in relazione con le questione della modernità e della tradizione, di averla saputa legare alla formazione dello Stato nazionale italiano; e di avere altresì allocato, senza contraddizione, il localismo e il regionalismo all’interno della prospettiva folklorica (o, se si vuole, di avere allocato tale prospettiva nella concreta dimensione delle piccole patrie e della società regionale).

Più in particolare, i volumi che ho in nota ricordato, sia pur con molte varianti e con una decisa centratura sui temi dell’esotismo, dell’orientalismo e dell’essenzialismo patriottico, forniscono importanti contributi nella direzione che ho riassunto. Molte sono le citazioni e i riferimenti a Salomone Marino e, soprattutto, a Pitrè. Gabaccia, per esempio, nel suo importante studio sull’emigrazione nazionale in nord America (From Sicily to Elisabeth Street, 1984), riconosce esplicitamente il debito che ha con Pitrè nel delineare il profilo della società siciliana e italiana dell’Ottocento. Reeder (Widows in White, 2003), nel suo lungo capitolo su Sutera del suo più complessivo lavoro, si serve in modo sostanziale dei materiali folklorici dei due studiosi e li utilizza nella prospettiva storico-critica in cui essi stessi li hanno collocati.

Ma esemplare rispetto al percorso qui esposto, mi sembra il lavoro di Nelson Moe (The View from Vesuvio, 2002). Moe dedica grande attenzione a Capuana e, soprattutto a Verga, che considera formatori delle grandi mitopoiesi siciliane contemporanee, mettendo in relazione la loro opera con le matrici pitreiane (naturalmente questo è stato richiamato anche da numerosi studiosi italiani, però in una diversa prospettiva critica di fondo). Ciò che evidenzia specialmente Moe, è la natura sistematica della costruzione letteraria della Sicilia nella prospettiva della formazione delle dialettiche nazionali, una sistematicità che lega strettamente la demologia alla letteratura e alla restituzione per immagini, con particolare riferimento, in quest’ultima prospettiva, all’azione svolta dalla ’Illustrazione italiana’. E un’attenzione particolare l’autore dedica anche a Salomone Marino, inseguendo le matrici culturali del tema della destructive force of modernization, lungo una linea che fa risalire alle considerazioni di Pio Rajna, e riportando un brano assai noto dell’introduzione ai Customs and Habits of the Sicilian Peasant, del 1879, su cui anche gli studiosi nazionali, e in particolare Cocchiara, si sono sovente soffermati [9]. Lo trascrivo dal testo di Moe:

in a time of transition such as ours, in which civilization fashion, and commerce have greatly cancelled, and will soon entirely cancel all the differences among nations, classes, and individuals, it is an act of charity to one’s homeland, as well as the duty of the historian, to gather up and preserve the last images of a people who have until now possessed a striking individuality [10].

Il riferimento alla ’Illustrazione italiana’ operato poco sopra, mi consente di ricordare, per altro, il forte allineamento dell’immagine, e in particolare di quella fotografica, alla costruzione dell’immaginario siciliano quale si delinea nell’opera dei folkloristi coevi. Ciò è evidente non soltanto attraverso la produzione fotografica dei grandi scrittori- amateurs, Verga, Capuana e Federico De Roberto, ma anche attraverso quella dei fotografi professionisti siciliani, assai attivi e qualificati, soprattutto negli studi di Palermo e Catania (Romualdo Trigona, Giuseppe Incorpora, Eugenio Interguglielmi, i fratelli Tagliarini, Emanuele Giannone, Enrico Seffer, Empedocle Lo Forte, Francesco Paolo Uzzo, cui si aggiunsero i francesi Victor ed Edouard Laisné, padre e figlio, Eugène Sevaistre, Eugène Chaufforier, il tedesco Giorgio Sommer, a Palermo; Giovanni Tudisco, Carmine Zurria, a Catania, oltre la numerosa e agguerrita schiera dei notissimi fotografi taorminesi, primo fra tutti, Wilhelm von Gloeden).

Si è spesso insistito sul realismo di questa fotografia nel suo complesso, e certamente gli autori che ho ricordato hanno tempre e modalità espressive diverse, e nondimeno una palpabile tensione verso il vero. Ma larga parte della loro imagerie coniuga le forme del reale dentro il modello del genere. E tale modello rappresenta una traduzione in immagine di costruzioni demologiche ben definite. Vi è, insomma, una larga continuità tra il popolo illustrato da Pitrè e quello che appare nelle fotografie siciliane (o realizzate in Sicilia) di un largo lasso di tempo (particolarmente tra gli ultimi venti anni dell’Ottocento e i primi quindici del Novecento; una continuità che richiama del resto il nesso che univa il testo illustrato settecentesco Le arti che vanno per la via nella città di Venezia di Gaetano Zompini, con le fotografie di genere legate ai mestieri popolari del XIX secolo a Napoli e nel Mezzogiorno).

Al fine di meglio comprendere il riuso negli studi culturali anglofoni contemporanei dell’opera pitreiana e mariniana, è utile però soffermarsi brevemente su alcuni ulteriori quadri di rifermento.

Il primo quadro attiene all’attenzione filologica, oltre che antropologica, a tale opera prestata particolarmente in ambito americano, con numerose traduzioni integrali o antologiche: basti pensare al lavoro del già ricordato Zipes assieme a Joseph Russo su Pitré o a un più recente saggio ancora di Zipes, docente di letterature comparate presso la Minnesota University, che dedica l’intero sesto capitolo al maestro palermitano e alla folkloristica siciliana coeva [11]. Al pregevole lavoro di Zipes ha dedicato attenzione, tra gli altri, in Italia, l’editore Carmine Donzelli con la traduzione di The Irresistible Fairy Tales, e con l’uso delle note critiche introduttive dello studioso per la riedizione integrale, con traduzione italiana a fronte, di Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani [12].

Zipes, del resto, malgrado il suo rammarico ricordato in apertura, ritesse accuratamente le fila dell’attenzione che i suoi connazionali avevano avuto per Pitré. Il quale, nel 1890, era divenuto membro onorario dell’American Folklore Society, grazie anche alle amichevoli relazioni intrattenute con uno dei maestri fondatori degli studi di folklore negli Stati Uniti, Francis James Child. Il carteggio intrattenuto tra i due studiosi rivela le relazioni di reciprocità, nonché l’alta considerazione che l’americano aveva per le opinioni e le iniziative del suo partner [13]. Anche Thomas Frederick Crane, illustre studioso di folklore, buon conoscitore della produzione testuale italiana e della lingua (che aveva anche insegnato, nell’ambito degli studi filologici, presso la Cornell University), tra i fondatori del Journal of American Folklore, aveva avuto per Pitrè alta considerazione, testimoniata dal nutrito carteggio tra i due intercorso, dalla dedica a Pitrè dell’importante raccolta di Crane, Italian Popular Tales, del 1885, e da quella di Pitrè a Crane, nel 1888, per il suo Fiabe e Leggende; da numerosi articoli e recensioni dello studioso statunitense, infine, tra le quali il forte ed elogiativo obituary su Pitrè, apparso su ’The Nation’, nel 1916, nel quale, tra altre cose, vi è una lusinghiera comparazione tra lo studioso siciliano e i fratelli Grimm. E attenzione al lavoro di Pitrè avevano avuto gli Inglesi William Ralston, occupatosi soprattutto della Russia, corrispondente di Pitré, e Rachel Busk, studiosa dell’Italia, il cui lavoro testimonia una forte influenza del maestro siciliano, del resto attestata anche dal loro carteggio.

Nel dicembre del 1916, poi, qualche mese dopo la sua morte (avvenuta ad aprile), è la volta di Evelyn Carrington, di stendere un ricordo assai estimativo della figura e dell’opera di Pitrè, associata a quella di Salomone Marino, sulla rivista Folk-Lore. Le sue affermazioni, del tutto interne all’orizzonte scientifico di riferimento dell’epoca, abbastanza simile per altro tra gli Stati Uniti e l’Italia, delineano una conoscenza piuttosto esatta delle vicende siciliane cui dedica attenzione:

Severely critical in detecting the least trace of artificial manipulation in the material which came into his hands - ella scrive di Pitrè - he held that nothing that was genuine could be dismissed as unimportant; if you followed it to its roots, it contributed somehow to building the fabric, as varied, as eloquent, as one of those wonderful Sicilian churches where every stone speaks of history. In Pitrè’s twenty-five volumes of Sicilian folklore the soul of Sicily will live forever. The Archivio delle Tradizioni Popolari which he edited with his friend Salomone Marino (who died a few days before his own death) became the pivot of folklore researches all over Italy, and may be said to have prevented them from dying out after the first enthusiasm aroused by the works of Tigri, Nigra, and other pioneers. Its publication was continued for thirty years in the face of all sorts of difficulties. Pitrè could not have done what he did for Sicilian folklore without a knowledge of the whole subject, which astonished even Professor Child, who was one of his warmest admirers [14].

Il secondo quadro attiene all’ambito più ristretto dell’antropologia medica internazionale, nella quale è data forte attenzione non solo ai repertori di medicina popolare raccolti da Pitrè, ma anche ad alcune sue intuizioni critiche, quali a esempio, quella di operare una traslazione della nozione di superstizione dalla sfera religiosa alle definizione di concetto medico (penso agli studi di Josep M. Comelles, a esempio, tra i quali il saggio apparso su MAT - Medicine Anthropology Theory [15]); o quella di aver notevolmente modificato i quadri epistemologici di riferimento per la medicina popolare re-immettendola in una cornice etnografica che era, all’epoca, del tutto sovrastata da considerazioni di tipo erudito e storico, e ponendo l’accento sulla descrizione del disagio e della malattia osservati e sulle concrete pratiche terapeutiche (ancora Comelles su ’Anthropology & Medicine’ [16]).

Il terzo quadro attiene alla notevole fioritura di studi dedicati al rapporto tra folk tradition e production of nation-state identity, che si è avuta, soprattutto nei Paesi scandinavi e baltici in tempi assai recenti. Tali studi, non soltanto dedicano attenzione al ruolo dei folkloristi italiani dell’Ottocento e del primo Novecento, ma spesso adoperano l’armamentario critico che, a partire da essi e dalla riflessione su di essi, hanno svolto antropologi italiani a noi più vicini, quali Cocchiara, Lombardi Satriani, Cirese, Buttitta.

Opera indicativa in tal senso, all’interno di una produzione vasta e teoreticamente agguerrita, che si innesta sulla tradizione post-moderna degli studi culturali e dell’antropologia, è quella del già ricordato Anttonen (professore di cultural studies alla University of Eastern Finland, ma di formazione antropologica svolta a livello post-graduate e di PhD, presso il Department of Folklore and Folklife della University of Pennsylvania, negli Stati Uniti) [17]. Opera che ricostruisce la filiera che conduce dalle riflessioni di Pitrè sino alle più recenti acquisizioni dell’antropologia italiana contemporanea.

Vicino a questo filone di studi è poi quanto è elaborato nel contesto degli Italian studies negli Stati Uniti e, particolarmente, a New York, sia nell’ambito dell’Italian Academy for Advanced Studies in America e del John Calandra Institute, a esempio, sia nell’ambito del Seminar of Studies in Modern Italy della Columbia University, sia infine presso la Cattedra di Italian Studies della NYU, retta da Forgasc.

L’attenzione filologicamente orientata all’azione performativa dei testi demologici tra Ottocento e Novecento; la considerazione per la funzione centrale svolta dal folklore nella costruzione dello Sato nazionale e delle piccole patrie, locali e regionali; la consapevolezza della grande importanza che ha avuto il rapporto dialettico tra piccola e grande patria, tra località e nazione in Sicilia, nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi quindici anni del Novecento (significativamente sino alla méta e alla cesura dell’inizio della Grande Guerra); la convergenza, dentro un’idea e un sistema di rappresentazioni della cultura popolare, di demologi, scrittori e fotografi: tutto ciò mi sembra vada aprendo strade nuove e percorsi di ricerca stimolanti su di un versante non più e non soltanto nazionale, per l’amplissimo lavoro di raccolta e riflessione dei due illustri antenati.

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[1In una bibliografia assai vasta, è necessario ricordare quanto meno G. Cocchiara, Giuseppe Pitrè e le tradizioni popolari, Palermo, Tip. F. Ciuni, 1941; Id., Pitrè, la Sicilia e il folklore, Messina-Firenze, G. D’Anna Editrice, 1951; A. Buttitta, Ideologia e Folklore, Palermo, Flaccovio, 1971; A. M. Cirese, Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale. II ediz., Palermo, Palumbo, 1973; L. M. Lombardi Satriani, Il silenzio, la memoria e lo sguardo, Palermo, Sellerio, 1979; G. Bonomo, Pitrè, la Sicilia e i siciliani, Palermo, Sellerio, 1989; G. B. Bronzini, Intellettuali e poesia popolare nella Sicilia dell’Ottocento, Palermo, Sellerio, 1991.

[2Numerosi studiosi italiani di letteratura e di demologia e antropologia si sono soffermati sulle strette relazioni tra Verga e Pitrè (a partire dai loro scambi epistolari, che coinvolsero anche i due altri scrittori veristi siciliani, Luigi Capuana e Federico De Roberto), da Natalino Sapegno a Naselli, da Lia Fava Guzzetta a Lia Giancristofaro. Sul versante antropologico si vedano, essenzialmente, A. M. Cirese, Intellettuali, folklore, istinto di classe, Torino, Einaudi, 1976, in particolare le pp. 3-32; L. Giancristofaro, Il segno dei vinti. Lettura antropologica dell’opera di Verga, pref. di A. Buttitta, Lanciano (CH), Carabba, 2005.

[3J. Zipes, The Indomitable Giuseppe Pitrè, in ’Folklore’, 120 (1), 1-18, April 2009, pp. 1-25.

[4Cfr. A. Blok, The Mafia of a Sicilian Village, 1860-1960: A Study of Violent Peasant Entrepreneurs, New York, Harper & Row, 1974 [trad.it. La mafia in un villaggio siciliano 1860-1960. Imprenditori, contadini, violenti, , Torino Einaudi, 1986]; J. Schneider, P. Schneider, Cultural and Political Economy in Western Sicily, New York, Academic Press, 1976 [trad.it. Classi sociali, economia e politica in Sicilia; Soveria Mannelli Rubbettino, 1989].

[5Esemplarmente, in una letteratura vasta, rinvio a T. Baycroft, D. Hopkin (eds.), Folklore and Nationalism in Europe During the Long Nineteenth Century, Leiden (The Netherlands), Brill, 2012; P. Anttonen, Postmodernism and the Nation-State in Folklore Scholarship, Helsinki, Helsinki University Library, 2016; A. Dieckhoff, N. Gutiérrez (eds.), Modern Roots. Studies of National Identity, London, Routledge, 2017.

[6Si vedano, quantomeno, M. Herzfeld, The poetics of Manhood. Contest and Identity in a Cretan Mountain Village, Princeton, Princeton University Press, 1985; Id., Ours Once More. Folklore, Ideology, and the Making of Modern Greece, New York, Pella, 1986; Id., A Place in History. Social and Monumental Time in a Cretan Town, Princeton, Princeton University Press, 1991; Id., Cultural Intimacy: Social Poetics in the Nation-State, New York, Routledge, 1997 [trad. it. Intimità culturale. Antropologia e nazionalismo, Napoli, L’ancora del Mediterraneo, 2003]; Id., Evicted from Eternity. The Restructuring of Modern Rome, Chicago-London, The University of Chicago Press, 2009; Id., Le geografie simboliche dell’ineguaglianza. Roma capitale tra gli stereotipi di settentrionalità istituzionale e meridionalità sociale, in M. Petrusewicz, J. Schneider, P. Schneider (a cura di), I Sud. Conoscere, capire, cambiare, Bologna, il Mulino, 2009, pp. 131-146; R Handler, Nationalism and the Politics of Culture in Quebec, Madison, The University of Wisconsin Press, 1988; J. Faubion, Modern Greek Lessons. A Primer in Historical Constructivism, Princeton, Princeton University Press, 1993.

[7Cfr. D. R. Gabaccia, From Sicily to Elisabeth Street. Housing and Social Change Among Italian Immigrants, 1880-1930, Albany, State University of New York, 1984; J. Schneider (ed.), Italy’s ’Southern Question’. Orientalism in One Country, Oxford-New York, Berg, 1998; L. Riall, Sicily and the Unification of Italy. Liberal Policy and Local Power, 1859-1866, Oxford, Clarendon Press, 1998 [trad. it. La Sicilia e l’unificazione italiana. Politica liberale e potere locale, 1859-1866, Torino, Einaudi, 2004]; Id., Under the Volcano. Revolution in a Sicilian Town, Oxford, Oxford University Press, 2013 [trad. it. La rivolta. Bronte 1860, Roma-Bari, Laterza, 2012]); J. Dickie, The Darkest Italy. The Nation and the Stereotypes of Mezzogiorno, 1860-1900, London, Palgrave Macmillan, 1999; A. R. Russell Ascoli, K. von Henneberg (eds.), Making and Remaking Italy. The Cultivation of National Identity around Novecento, Oxford-New York, Berg, 2001; N. Moe, The View from Vesuvio. Italian Culture and the Southern Question, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press, 2002 [trad. it. Un paradiso abitato da diavoli: identità nazionale e immagini del Mezzogiorno, Napoli, L’ancora del Mediterraneo, 2004]; L. Reeder, Widows in White: Migration and the Transformation of Rural Italian Women, Sicily, 1880-1920, Toronto, University of Toronto Press, 2003; D. Forgacs, Italy’s Margin. Social Exclusion and Nation Formation Since 1860, Cambridge, Cambridge University Press, 2014 [trad. it. Margini d’Italia. L’esclusione sociale dall’Unità a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2015]. È obbligo qui menzionare anche il volume che ha inaugurato la nuova stagione internazionale di studi sul Mezzogiorno: cfr. R. Lumley, J. Morris (eds.), The New History of the South: The Mezzogiorno Revisited, Devon, University of Exeter Press, 1977. Infine, incidentalmente, vorrei qui ricordare l’interesse degli studi di Frank Rosengarten e di Robert Dombrowsky su Antonio Gramsci e sull’Italia fascista, che pur non trattando direttamente temi di nostra pertinenza in questa sede, offrono un quadro dei rapporti tra letteratura, pensiero filosofico e Nation-State di notevole ampiezza.

[8Cfr. J. Fabian, Time and the Other: How Anthropology Makes its Objects, New York, Columbia University Press, 1983 [trad. it. Il tempo e gli altri. La politica del tempo in antropologia, Napoli, L’ancora del Mediterraneo, 2000]; E. W. Said, Orientalism, New York, Pantheon Books,1978 [trad. it. Orientalismo, Torino, Bollati-Boringhieri, 1991, poi Milano, Feltrinelli, 1999]).

[9Cfr. S. Salomone Marino, Customs and Habits of the Sicilian Peasant, translation by R. N. Norris, Rutherford, Fairleigh Dickinson University Press, 1980 [ed. or. 1879]. Il testo di Cocchiara cui faccio riferimento è Pitrè, la Sicilia e il folklore, cit.

[10N. Moe, The View from Vesuvio. Italian Culture and the Southern Question, cit., p. 221.

[11Si vedano J. Zipes, J. Russo, The Collected Sicilian Folk and Fairy Tales of Giuseppe Pitré, New York-London, Routledge, 2009; J. Zipes, The Irresistible Fairy Tale: The Cultural and Social History of a Genre, Princeton, Princeton University Press, 2012.

[12Cfr. J. Zipes, La fiaba irresistibile. Storia culturale e sociale di un genere, Roma, Donzelli, 2012 e G. Pitrè, Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani, Roma, Donzelli, 2013.

[13Si veda in proposito A. Rigoli, Lettere di Child a Pitrè, in ’Annali del Museo Pitrè, VIII-IX, 1957-59, pp. 134-141.

[14E. Martinengo Cesaresco, Giuseppe Pitré , in ’Folk-Lore’, vol. 27, 1916, p. 314. La notevole personalità di Evelyn Carrington, poi divenuta, attraverso nozze italiane, contessa Martinengo Cesaresco, è abbozzata da David Hopkin in The Padrona of Folksongs: Biography of Evelyn Carrington, Countess Martinengo-Cesaresco; in ’Bérose - Encyclopédie internationale des histoires de l’anthropologie’, Paris, 2018: https://www.berose.fr/article1480.html .

[15Si veda J. M. Comelles, From Superstition to Folk Medicine. The Transition from a Religious to a Medical Concept, in ’Medicine Anthropology Theory’ III, 2, 2016, pp. 269–305. ’The credit for establishing ‘popular medicine’ as a specific field of research in medicine - scrive a esempio, nel saggio Comelles -, and secondarily in anthropology, should go to Pitrè’s (1896) Medicina popolare siciliana, whose aim was to show: ’the ethnic and demo-psychological [folkloric] importance of popular medical traditions is unquestionable; but at the same time we must remember its importance for the history of therapeutics: that part of the remedies that retains and that may be of a scientific nature. [. . .] Popular beliefs and practices should not be despised only because they come from uncultured people. Their empiricism sometimes has a happy outcome when scientific medicine at times fails. [. . .] And how many times, renouncing rational means have we had to observe the marvelous effect of certain old wives’ remedies that were not noted in any therapeutic treatise’. (Pitrè 1896, XXIIIXXV) The book - ricorda ancora Comelles - circulated widely throughout Europe and became a reference point for further studies because Pitrè developed a specific methodology for describing and classifying folk medicine’ (p. 293). Ma di Comelles a riguardo si veda pure Da superstizione a medicina popolare. La transizione da un concetto religioso a un concetto medico, in ’AM - Rivista della Società Italiana di Antropologia Medica’, 1–2, 1996, pp. 57–87.

[16Cfr. J. Comelles, Writing at the Margin of the Margin: Medical Anthropology in Southern Europe, in ’Anthropology & Medecine’http://www.tandfonline.com/toc/canm...vol. 9, Issue 1, 2002, pp.7-23.

[17Cfr. Pertti J. Anttonen, Postmodernism and the Nation-State in Folklore Scholarship, cit.