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Encyclopédie internationale
des histoires de l’anthropologie

Paolo Toschi e il folklore italiano: vite parallele

Maurizio Coppola

CNRS (Cesdip)

2021
Pour citer cet article

Coppola, Maurizio, 2021. “Paolo Toschi e il folklore italiano: vite parallele”, in Bérose - Encyclopédie internationale des histoires de l'anthropologie, Paris.

URL Bérose : article2479.html

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Publié dans le cadre du thème de recherche « Histoire de l’anthropologie italienne », dirigé par Giordana Charuty (EPHE, IIAC).

Nella storia degli studi folklorici italiani del Novecento, Paolo Toschi occupa un posto sicuramente importante. In effetti, il suo vissuto biografico e scientifico si lega all’istituzionalizzazione e alla diffusione dei saperi folklorici in Italia. A questo si deve aggiungere anche l’importanza della sua produzione scientifica che ancora oggi riveste un ruolo decisivo, in particolare per gli studi sulla letteratura e sul teatro popolare.

Paolo Toschi nasce a Lugo di Romagna (provincia di Ravenna) l’8 maggio 1893. Interessato fin da giovane alla poesia popolare, si iscrive all’Istituto di studi superiore (poi università) di Firenze per studiare storia della letteratura italiana e filologia, in particolare con Pio Rajna, Guido Mazzoni, Girolamo Vitelli, tutti esponenti della corrente denominata scuola storica [1] e che vede tra i suoi precursori anche Alessandro D’Ancona.

Gli anni universitari sono interrotti dalla Grande Guerra a cui Toschi partecipa come ufficiale di fanteria. Il conseguimento della laurea avverrà pertanto soltanto dopo la fine del conflitto, precisamente nel 1919, discutendo una tesi sulla poesia popolare religiosa sotto la guida di Pio Rajna.

Parte del lavoro della tesi è pubblicato qualche anno dopo nel 1922 con il titolo, La poesia religiosa del popolo italiano. Il testo si inscrive all’interno della metodologia della scuola storica e si presenta come una raccolta di canti e poesia popolare di carattere religioso accompagnata da un’analisi storica e filologica. Tuttavia, già da questi primi passi, si intravedono alcune caratteristiche dell’approccio « etnografico » di Toschi che lo contraddistingue rispetto al metodo filologico « classico » dei suoi maestri. In tal senso, Toschi non si concentra solamente la sua attenzione sui testi in quanto tali ma cerca di definirli all’interno di una storia della religiosità italiana la quale, secondo lui, risiede nella tradizione cristiana e cattolica. Per questo, come ci dice lui stesso, prende in considerazione principalmente la poesia « viva » ovvero quella che il « popolo si è tramandata oralmente attraverso i secoli, fino ad oggi e che ancora canta e serba nella memoria ». [2]

In seguito, si dedica all’insegnamento nelle scuole superiori, prima in provincia di Arezzo e poi a Livorno. Dall’esperienza dell’insegnamento nasce il volume Romagna Solatia (1925), un manuale didattico sugli usi e costumi della sua regione, la Romagna. Quest’opera si inserisce nella manualistica scolastica prodotta in seguito alla riforma della scuola del 1923, quando si introduce ufficialmente la materia del dialetto e della cultura regionale nell’educazione elementare.

Gli anni venti sono anni di impegno politico e scientifico per Toschi che vuole imporsi nel campo del folklore, nonostante questo settore viva una fase di stagnazione istituzionale. In effetti, dopo la grande stagione dell’Ottocento e i successi degli anni dieci, [3] il folklore si trova privo dei suoi punti di riferimento e le uniche proposte sono spesso il frutto di iniziative personali. Pertanto, l’obiettivo di Toschi è di sollecitare il mondo intellettuale e politico sull’importanza del folklore nella cultura italiana e lancia una serie di appelli dalle pagine del giornale di Bologna, Il Resto del Carlino, per invitare il governo a promuovere lo studio delle tradizioni popolari italiane.

La volontà di sostenere gli studi folklorici favorisce l’incontro tra Toschi e il giovane folklorista Giuseppe Cocchiara nel 1926, allora in viaggio in Toscana. Fin da subito, i due instaurano una stretta collaborazione e, insieme ad altri, si fanno promotori della nascita del Comitato nazionale per le tradizioni popolari e dell’organizzazione del primo congresso di tradizioni popolari, tenutosi successivamente a Firenze nel maggio del 1929. Il congresso ottiene una folta partecipazione e permette di dare visibilità alla comunità folklorica italiana, lanciando definitivamente la carriera di Toschi in questo campo.

Successivamente, Toschi è nominato direttore della rivista Lares, [4] bollettino ufficiale del Comitato di tradizioni popolari, e nel 1931 è ancora tra i protagonisti nell’organizzazione del secondo congresso di tradizioni popolari, questa volta tenuto nella città di Udine.

Tuttavia, dal 1931, il Comitato nazionale con la rivista Lares viene assorbito all’interno del Comitato italiano per le arti popolari, un’organizzazione dipendente dell’Opera Nazionale Dopolavoro e posta sotto la gestione diretta del governo fascista. Come è stato evidenziato dalla storiografia, il fascismo si mostra particolarmente interessato all’organizzazione delle attività folkloriche in quanto esso è un elemento importante nella formazione del consenso e nell’indottrinamento delle masse. Da questo momento, in effetti, le iniziative scientifiche e culturali nell’ambito del folklore saranno determinante direttamente dalla propaganda ideologica del fascismo.

In seguito, la sede del comitato è spostata a Roma e anche Toschi si trasferisce nella capitale per lavorare all’interno della commissione nazionale di cooperazione intellettuale. Tuttavia, l’assorbimento del comitato di Firenze in quello di Roma comporta per Toschi il declassamento a vice-direttore della rivista Lares mentre la direzione è assunta dal deputato Emilio Bodrero.

Nonostante la perdita di autonomia, il trasferimento a Roma permette a Toschi di assumere nuovi incarichi nel campo del folklore. Nel 1933 è professore incaricato di letteratura e tradizioni popolari all’Università di Roma. Inoltre, partecipa attivamente ai lavori del terzo (1934, Trento) e del quarto (1940, Venezia) congresso di tradizioni popolari.

Dal 1936 è curatore presso il Museo di Etnografia Italiana di Tivoli di villa d’Este, il quale conserva le collezioni della Mostra di Etnografia Italiana del 1911. Toschi si occupa di allestire, catalogare e ampliare il materiale demologico e parte del suo lavoro confluisce nell’organizzazione della mostra di tradizioni popolari dell’Esposizione universale di Roma del 1942, il cui progetto iniziale avrebbe dovuto sancire la nascita di un museo dedicato al folklore presso il quartiere dell’Eur. [5]

Il riconoscimento istituzionale è seguito anche da una ricca produzione scientifica. Nel 1935 pubblica il volume La poesia popolare religiosa in Italia, [6] un volume concepito fin dal 1919 e che presenta il frutto di anni di ricerca sulla poesia popolare religiosa. Si tratta di un lavoro che riprende quanto già elaborato nella prima opera ma questa volta con una maggiore profondità teorica e analitica. L’insieme dei documenti è fondato su fonti orali che sono state in parte raccolte, come l’afferma lui stesso, dallo stesso Toschi in giro per il paese mentre « quella [...] popolare, morta nella memoria dei volghi, [e] conservata attraverso i codici e le stampe, […] verrà presa in esame solo in quanto abbia rapporti con la vita attuale » [7].

Il metodo di raccolta deriva dalle impostazioni presenti in Italia fin dall’Ottocento e che avevano reso famosi grandi folkloristi, come Giuseppe Pitrè o Angelo De Gubernatis. Inoltre, Toschi cerca di dare più rilevanza alla funzione culturale della poesia popolare all’interno delle celebrazioni religiose italiane. In tal senso, senza tralasciare l’importanza dello studio dei testi e della storia letteraria, egli sottolinea il valore dell’oralità della letteratura popolare, dirigendosi verso una riflessione più vicina alle tematiche dell’antropologia.

Infine, con questo testo, Toschi si avvicina anche in maniera decisiva all’estetica del filosofo Benedetto Croce e questo lo accompagnerà per molti anni avvenire e in particolare nel secondo dopoguerra.

L’altro grande filone della produzione scientifica di Toschi che si delinea a partire dagli anni venti è costituito dal teatro popolare. Le opere più rappresentative di questo periodo sono L’antico dramma sacro italiano del 1926 e Dal dramma liturgico alla rappresentazione sacra [8] del 1940. Il progetto di ricerca di Toschi mira a rinnovare il campo di studi sulle origini del teatro e della drammatica, inaugurato da Alessandro D’Ancona nell’Ottocento e proseguito da altri studiosi come Vincenzo De Bartholomeis.

Nel 1941, Toschi si cimenta nel campo della manualistica folklorica pubblicando Guida allo studio delle tradizioni popolari [9], contribuendo ad un settore che trova i suoi inizi proprio fra le due guerre. Attraverso questo libro, l’obiettivo di Toschi è fornire delle indicazioni metodologiche elementari per coloro i quali iniziano a studiare il folklore in Italia. In effetti, il sostegno delle autorità fasciste e il lavoro capillare del comitato in ogni regione italiana, aveva contribuito a formare una folta comunità di studiosi, ma che molto spesso erano semplici appassionati della materia.

Pertanto, come dice Toschi, « poiché in Italia, questa materia è stata, per troppo tempo, oggetto di esercitazioni dilettantesche e sfogo di bassa letteratura “coloristica” – né la piaga è del tutto sanata – si è ritenuto opportuno fornire […] nozioni e criteri che preparino ad uno studio in tutto e per tutto uguale a quello di qualsiasi altra scienza » [10].

Tuttavia, non sono pochi all’interno del volume i richiami alla propaganda del fascismo, come ad esempio il fatto che Toschi annunci nell’introduzione : « nella nostra tradizione si rispecchiano i tratti spirituali della nostra razza, si rivela il vero volto dell’Italia » [11]. Richiami che saranno cancellati nelle edizioni successive del testo, già a partire dalla seconda del 1945, [12] quando Toschi cancellerà ogni riferimento al fascismo e inaugurando implicitamente un’opera di damnatio memoriae sui rapporti tra folklore e fascismo che durerà in Italia per molti decenni successivi.

Durante la guerra, Toschi viene richiamato alle armi e inviato come ispettore presso i musei etnografici a Lubiana, Zagabria e Spalato. La fine del secondo conflitto mondiale segna una nuova svolta per Toschi così come anche per il mondo del folklore italiano. In effetti, nel 1943 cessano le pubblicazioni della rivista Lares mentre è sciolto il Comitato italiano per le arti popolari.

Per dare nuovo slancio a tali studi, insieme ad altri reduci del comitato, Toschi è tra i fondatori nel 1944 della Società di Etnografia Italiana e di cui egli diventerà presidente nel 1957. Nel 1949, la neonata società riavvia le pubblicazioni della rivista Lares e Toschi è nominato direttore.

Il rilancio delle attività folklorica segna anche un punto di arrivo molto importante per la carriera di Toschi e per il folklore italiano. Nel 1949, fa parte della terna vincitrice del concorso per le prime cattedre ordinarie di letteratura e tradizioni popolari in Italia. Toschi è nominato titolare all’Università di Roma e, insieme a lui, vengono decretati vincitori anche Giuseppe Cocchiara all’Università di Palermo e Carmelina Naselli a Catania. [13]

L’istituzionalizzazione delle cattedre di tradizioni popolari è un traguardo fondamentale per tutto il movimento folklorico poiché sancisce il riconoscimento che questa disciplina ha assunto nella cultura italiana. In seguito, Toschi modifica il nome della cattedra in storia delle tradizioni popolari, denominazione che perdura tuttora.

Tra la fine degli anni quaranta e l’inizio dei cinquanta, Toschi è impegnato nell’organizzare varie esposizioni di tradizioni popolari, in particolare con il materiale conservato presso il museo di Tivoli. L’obiettivo di Toschi è quello di valorizzare tali collezioni con l’intento soprattutto di trovare una sede definitiva per il museo etnografico. Grazie all’impegno di Toschi, il Ministero della pubblica istruzione decreta lo spostamento definitivo del museo etnografico presso il Palazzo delle Tradizioni Popolari dell’Eur. Il ministero nomina Toschi a capo della commissione per l’allestimento del futuro museo che viene denominato in via definitiva Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, e inaugurato nel 1956. [14]

Gli anni cinquanta, quindi, costituiscono l’affermazione definitiva per Toschi che si consacra come figura centrale nel campo delle tradizioni popolari. È soprattutto grazie alla sua opera più importante, Le origini del teatro italiano [15], che egli ottiene i maggiori riconoscimenti ed una apertura internazionale. Pubblicata nella « collana viola » [16] della casa editrice Einaudi di Torino, l’opera costituisce ancora oggi un supporto fondamentale per gli studiosi del teatro e di antropologia. Esso segna anche il punto di arrivo di quasi trent’anni di studi teatrali che Toschi aveva cominciato fin dagli anni venti, rappresentando anche l’atto conclusivo della stagione positivista che ha caratterizzato lo studio delle origini del teatro.

Come già accennato precedentemente, la metodologia di Toschi ha la sua particolarità rispetto agli approcci più filologici di D’Ancona e di De Bartholomeis dove sguardo etnologico e critica dei testi si uniscono in un approccio interdisciplinare. L’utilizzo dell’etnologia permette a Toschi di comparare elementi ed epoche diverse e di avanzare l’ipotesi che all’origine della nascita delle moderne forme di teatro vi siano i riti e le cerimonie festive e religiose dell’età antica e dell’era cristiana. In sintesi, e come dice l’autore, l’origine del teatro italiano e, in larga misura quello europeo da cui esso deriva, si fonda su tre punti fondamentali :

1) Tutte le forme drammatiche da cui si sviluppa il […] teatro riconoscono la loro prima e unitaria origine dal rito : nascono come i momenti essenziali e più significativi di cerimonie religiose. 2) Anche la commedia e, in genere, quello che si suol chiamare teatro profano, ha avuto all’origine carattere sacro, né più né meno del dramma cristiano : solo che la nascita è avvenuta nel mondo ritualistico della religione pagana. 3) Questo « teatro profano » (anch’esso […] di origine sacrale) è antecedente al teatro cristiano, continua a vivere anche nel lungo periodo del predomino di questo, e si prolunga fino al giorno d’oggi […]. [17]

L’idea che l’origine del teatro debba ricercarsi all’interno del rito non è nuova in questo settore di studi, come tra l’altro Toschi riferisce lui stesso nell’introduzione alla sua opera. In effetti, è un’interpretazione che trova molti sostenitori in campo italiano ed internazionale ma l’apporto di Toschi risiede nel conferire una dimensione più universale a questa teoria unendo in un’unica riflessione ritualistica la nascita del dramma sacro e della commedia, così come storia pagana e storia cristiana in un’unica prospettiva di continuità. Per avvalorare queste teorie, molte delle sue dimostrazioni sono debitrice dell’impianto teorico proposto dall’evoluzionismo inglese, in particolare da Il Ramo d’Oro di James G. Frazer. Pertanto, il carattere storico-comparativo e la metodologia « universalista » dell’opera di Toschi rappresentano forse gli elementi che più lo riallacciano al positivismo etnologico. Le origini del teatro italiano rappresenta forse il punto più elevato della produzione di Toschi e ciò è dimostrato dall’ampio eco internazionale che l’opera riceve subito dopo la pubblicazione.

Tuttavia, il periodo che ruota attorno all’uscita di Le origini rappresenta anche l’inizio del declino per il metodo folkloristico del Toschi nonostante egli mantenga posizioni istituzionali importanti come appunto la cattedra universitaria, la direzione della rivista Lares (tenuta fino alla sua morte nel 1974) e svolga un’intensa produzione scientifica.

Negli anni cinquanta, in effetti emergono nuovi attori che reinterpretano lo studio del folklore. Innanzitutto, le ricerche sul meridione italiano e l’etnologia storicista di Ernesto De Martino aprono nuove prospettive nello studio delle classi popolari. In particolare, De Martino critica i metodi di raccolta « classici » delle tradizioni popolari ed anche l’idea stessa del folklore come disciplina autonoma. Tra Toschi e De Martino nascerà un forte dibattito che li vedrà schierarsi su posizioni differenti e apparentemente inconciliabili.

Inoltre, nello stesso periodo, si affaccerà una nuova generazione di studiosi che abbracceranno approcci più internazionali, studiosi che lo stesso Toschi ha provveduto a formare sotto la sua guida. Tra questi, ricordiamo Giovanni Battista Bronzini, il più vicino al suo pensiero e colui che continuerà la direzione di Lares, e Alberto Mario Cirese il quale invece si discosterà notevolmente rispetto ai suoi insegnamenti.

Non è un caso, che la scomparsa di Toschi determina anche la fine del folklore come disciplina autonoma negli anni settanta, inglobata insieme all’etnologia e all’antropologia culturale all’interno del settore denominato « demo-etno-antropologia ».

Bibliografia

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Angelini Pietro (a cura di), Cesare Pavese, Ernesto De Martino. La collana viola. Lettere 1945-1950, Torino, Bollati Boringhieri, 1991.

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Cavazza Stefano, Piccole patrie. Feste popolari tra regione e nazione durante il fascismo, Bologna, Il Mulino, 2003.

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D’Amato Alessandro, 2020. « Dal folklorismo regionalistico al nuovo umanesimo europeo. Vita e opere di Giuseppe Cocchiara », in Bérose - Encyclopédie internationale des histoires de l’anthropologie, Paris, URL Bérose : article1929.html.

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Dei Fabio, 2020, « Lares : una rivista nella storia dell’antropologia italiana », in Bérose - Encyclopédie internationale des histoires de l’anthropologie, Paris, URL Bérose : article1951.html.

Fantauzzi Annamaria, « A distanza ravvicinata : Ernesto De Martino e Giovanni B. Bronzini nella Lucania degli anni ‘50 », Lares, a. LXIX, n. 2, 2003, p. 261-303.

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Massari Stefania, Arti e tradizioni. Il museo nazionale dell’Eur, Roma, De Luca, 2004.




[1. Per scuola storica, si intende la corrente di studi filologici di stampo positivista sviluppatasi nella seconda parte dell’Ottocento in Italia.

[2. Paolo Toschi, La poesia religiosa del popolo italiano, Firenze, Libera editrice fiorentina, 1922, p. IX.

[3. Ci limitiamo a segnalare due momenti determinanti per la storia del folklore : la cattedra di demopsicologia tenuta da Giuseppe Pitrè all’Università di Palermo e l’organizzazione della mostra di etnografia italiana a Roma, entrambi del 1911.

[4. La rivista Lares fu già pubblicata dal 1912 al 1915, fondata dall’etnografo Lamberto Loria.

[5. L’esposizione universale sarà annullata per l’entrata in guerra dell’Italia, sebbene molte opere architettoniche furono completate.

[6. Paolo Toschi, La poesia popolare religiosa in Italia, Firenze, Leo Olschki, 1935.

[7. Ibid., p. 7.

[8. Paolo Toschi, L’antico dramma sacro italiano, Firenze, Libreria editrice fiorentina, 2 v., 1926-27 ; Dal dramma liturgico alla rappresentazione. Saggi, Firenze, Sansoni, 1940.

[9. Paolo Toschi, Guida allo studio delle tradizioni popolari, Roma, Edizioni italiane, 1941

[10. Ibid., p. 8.

[11. Ibid., p. 9.

[12. Paolo Toschi, Guida allo studio delle tradizioni popolari, Roma, Edizioni italiane, 1945.

[13. L’insegnamento del 1911 di Giuseppe Pitrè non è ufficializzato a ordinario.

[14. Nel 2016, il museo è confluito all’interno del « Museo delle Civiltà ».

[15. Paolo Toschi, Le origini del teatro italiano, Torino, Edizioni Scientifiche Einaudi, 1955.

[16. La Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici detta « collana viola » è stata una collezione editoriale edita dal 1948 al 1956 diretta da Cesare Pavese e da Ernesto De Martino.

[17. Paolo Toschi, Le origini del…, op. cit. , p. 7.